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CRISTO SI E’ FERMATO AD EBOLI: DAL ROMANZO DI CARLO LEVI AL FILM DI FRANCESCO ROSI

Nato a Torino il 26 novembre 1902, Carlo Levi è stato uno dei più importanti narratori italiani.  Laureato in medicina, Levi si dedicò per lo più alla pittura e alla scrittura: collaborò con diverse riviste politiche, e si unì al movimento “Giustizia e Libertà”, insieme a Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli ed altri esponenti antifascisti di rilievo in quegli anni. La sua impronta nella storia culturale del nostro Paese è stata profonda, intensa e significativa. La sua opera più famosa, “Cristo si è fermato ad Eboli”, è ancora oggi uno dei romanzi più letti, apprezzati e diffusi in tutto il mondo. 

LA GENESI

Negli anni 1935-36 il torinese Levi viene condannato al confino per la sua militanza antifascista in Giustizia e libertà. Inizialmente la sua destinazione è Grassano (MT), in Basilicata, poi il luogo non è considerato abbastanza isolato e lo si manda ad Aliano, un paesino di mille abitanti, tra le montagne dell’Appennino lucano.  Al ritorno dal confino l’intellettuale, dopo aver trascorso un lungo periodo in Francia, scrisse il romanzo nel quale rievoca il periodo trascorso in un Sud arcaico e contadino, separato e isolato dal resto d’Italia.

LA PUBBLICAZIONE

Il libro, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1945, si apre così:

«Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia. Spinto qua e là alla ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa fatta, lasciandoli, ai miei contadini, di tornare tra loro, e non so davvero se e quando potrò mai mantenerla. Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli».

Il libro altro non è se non «il più appassionante e crudele memoriale dei nostri paesi» commentò Rocco Scotellaro, il socialista cantore della civiltà contadina.

IL RISCATTO DI MATERA E DEL MEZZOGIORNO 

Con “Cristo si è fermato ad Eboli” comincia per Matera una nuova storia. Levi la descriveva come una città di appestati eppure bellissima e pittoresca. Un riscatto per la città dei Sassi definita vergogna d’Italia (fu il presidente Togliatti a darle la triste definizione n.d.r), diventata nel 1993 Patrimonio dell’Unesco e pochi anni fa Capitale europea della cultura 2019.  Un riscatto per l’intero Mezzogiorno.

«Dentro quei buchi neri dalle pareti di terra vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi, Sul pavimento erano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha in genere una sola di quelle grotte per abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini, bestie… Di bambini ce n’era un’infinità… nudi o coperti di stracci… Ho visto dei bambini seduti sull’uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie. Era il tracoma. Sapevo che ce n’era quaggiù: ma vederlo così nel sudiciume e nella miseria è un’altra cosa… E le mosche si posavano sugli occhi e quelli pareva che non le sentissero… coi visini grinzosi come dei vecchi e scheletrici per la fame: i capelli pieni di pidocchi e di croste… Le donne magre con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizzi… sembrava di essere in mezzo ad una città colpita dalla peste…»

DAL LIBRO AL FILM 

Cristo si è fermato ad Eboli è stato fedelmente e magistralmente oggetto di una trasposizione cinematografica a opera del regista Francesco Rosi nel 1979. Rosi si era già occupato di Sud in diversi film, da La sfida (1958) a Salvatore Giuliano (1962), da Le mani sulla città (1963) a Lucky Luciano(1973), tutti però riconducibili al genere di impegno civile e di inchiesta.  La pellicola di Rosi, con protagonisti Gian Maria Volonté, Lea Massari, Alain Cuny, Irene Papas, commuove lo spettatore, scava nell’animo umano dei suoi personaggi con “primi piani” introspettivi e regala panoramiche suggestive della Basilicata tra Matera, Craco e Guardia Perticara. Della pellicola esistono due versioni: quella cinematografica di 150 minuti, distribuita nelle sale cinematografiche a partire dal 23 febbraio 1979, e quella televisiva di 270 minuti mandata in onda dalla Rai il 17 dicembre del 1980 (fino al 7 gennaio 1981) a poche settimane dal sisma irpino e lucano e ora disponibile sul portale RaiPlay. Non mancarono i riconoscimenti: presentato fuori concorso al 32º Festival di Cannes, il film vinse nel 1979 due David di Donatello (Miglior Regia, Miglior Film) e un Nastro d’Argento (Miglior attrice non protagonista, Lea Massari).

Alcune dichiarazioni del regista:

«La prima volta che ho fatto vedere il film fuori dall’Italia è stato a Chicago, ad un festival dove c’erano tremila persone. E io avevo paura, dicevo tra me e me “cosa capiranno questi, in America, a Chicago? I calanchi, le terre arse, i contadini, cosa capiranno?” Ebbene, alla fine della proiezione piangevano tutti».

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