Francesco Rosi nasce a Napoli il 15 novembre del 1922. A soli tre anni vince un concorso fotografico per la somiglianza con Jackie Coogan, protagonista del film di Chaplin “Il monello”, ma la mamma impedisce a lui e al padre di andare a Hollywood a ritirare il premio e a tentare la fortuna: lui come attore, il padre come direttore della fotografia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale abbandona la facoltà di Giurisprudenza e inizia a lavorare come illustratore di libri per l’infanzia, oltre a impegnarsi con Radio Napoli, dove conosce Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi e Aldo Giuffrè, con cui collaborerà spesso nel corso della sua professione teatrale, grazie alla quale diventerà anche amico di Giorgio Napolitano.
I primi passi nel mondo dello spettacolo li muove nel 1946 con lo spettacolo teatrale “O voto” di Salvatore di Giacomo, al Quirino di Roma, per il quale è assunto come assistente di Ettore Giannini. La sua prima esperienza come aiuto regista per il grande schermo risale al 1948, quando è ingaggiato da Visconti per “La terra trema”, di cui cura anche il doppiaggio per l’edizione in lingua.
Rosi ha inventato un nuovo stile narrativo per un cinema che prima di lui non esisteva. I suoi film nascevano da ricerche e inchieste sulla realtà del Paese: lavorava sui documenti, su “ciò che era noto”.
Attraverso i suoi film ha raccontato il potere che corrompe e si corrompe quando si mischia alla criminalità. Sul grande schermo ha portato pellicole di impegno civile come Salvatore Giuliano, Lucky Luciano, La sfida, Il caso Mattei, Cadaveri Eccellenti, Tre Fratelli, che hanno obbligato a riflettere intere generazioni. Ma soprattutto Rosi ha anticipato la narrazione di una democrazia inquinata dalla corruzione fin dalla sua nascita.
Francesco Rosi è uno dei registi più indipendenti, disinibiti e professionalmente realizzati del cinema italiano. È un uomo che ha saputo sottomettere la macchina da presa alla sua narrazione, facendo dell’Italia la nemica giurata di sé stessa. Il cinema con Rosi è libero, di agire e di parlare, partendo dal mettere in luce quelle zone d’ombra della nostra esistenza nazionale.
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