Considerato lo scrittore più rappresentativo della letteratura dell’ “età del jazz“, i ruggenti anni Venti del Novecento, di origini irlandesi. Lo scrittore Francis Scott Fitzgerald morì il 21 dicembre 1940 a Los Angeles.
Sin dall’adolescenza, Francis Scott si sentì attratto dal mondo aristocratico del Sud e dagli ideali (l’onore, la cortesia ed il coraggio) che di quel mondo gli aveva tramandato il padre Edward, un distinto gentiluomo cattolico del Maryland e la madre Mary McQuillan, donna dal carattere romantico e irrequieto, figlia di un commerciante benestante e nipote di un ricco irlandese che aveva trovato fortuna in America grazie al commercio all’ingrosso di generi alimentari.
A seguito del confronto tra il fallimento economico paterno e il successo dei nonni materni conquistato grazie al commercio all’ingrosso di generi alimentari, lo scrittore provò ammirazione e invidia per la nascente borghesia statunitense, soprattutto dopo aver sperperato la sua agiatezza economica, raggiunta grazie alla pubblicazione del suo primo romanzo, tra viaggi a Parigi e in Costa Azzurra e luculliane feste con l’inseparabile moglie Zelda Sayre.

Impreparato, così, a dover affrontare del tutto impreparato la terribile crisi economica del 1929, lo scrittore si ritrovò di colpo semialcolizzato, infiacchito per i disturbi mentali della moglie ricoverata dal 1934 in una clinica psichiatrica e preoccupato per l’educazione della figlia Frances, impossibilitata, per indigenza familiare, a frequentare lo stesso rinomato collage universitario del padre, Princeton.
Nel 1937, perciò, per riacquistare una certa tranquillità finanziaria, Francis decise di accettare di lavorare come sceneggiatore a Hollywood, dove morì per un attacco cardiaco mentre stava ultimando “The last tycoon” (“Gli ultimi fuochi“).
Con la sua produzione letteraria, divisa tra quattro romanzi e numerosi racconti, Francis Scott Fiztgerald offrì un ritratto spietato della società americana, attraverso la dissacrazione del mito del denaro e l’analisi del disagio generazionale e della condizione giovanile.

Tra le sue opere come “Il curioso caso di Benjamin Button“, “Tenera è la notte“, “Belli e dannati“, “Racconti dell’età del Jazz“, forse la più significativa resta il romanzo del 1925 “Il grande Gatsby” in cui il protagonista, uno dei nuovi eroi americani, compie una parabola esemplare: dal sogno di provinciale alle disillusioni di un mondo apparentemente sfavillante che, invece, avrebbe finito per travolgerlo, completamente schiacciato dal mito del denaro, dalla rivalsa sociale e dalla pericolosità dell’American Dream.
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