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CON L’AUTRICE SILVANA DA ROIT, ALLA SCOPERTA DEI SEGRETI SOTTERRANEI DI DOMODOSSOLA

Ci sono storie che attendono per secoli di trovare un passaggio per venire alla luce. Segreti per troppo tempo custoditi in luoghi leggendari e inaccessibili che, una volta incontrato il loro medium, scalpitano per palesarsi come fossero costretti in un respiro che non può piu essere trattenuto.

Credo sia questo il caso de I tunnel di Oxilla, il romanzo d’esordio dell’autrice Silvana Da Roit, edito da Edizioni Convalle. Una storia che attendeva di donarsi ai suoi lettori e che rende omaggio all’affascinante borgo di Domodossola, indiscusso protagonista dell’opera.

È proprio qui che, in un’epoca lontana, si colloca la narrazione di Silvana Da Roit; una vicenda che trova il suo tunnel per arrivare sino a noi grazie alla caparbietà del piccolo Marco e al fortunoso ritrovamento, occorso negli anni sessanta dello scorso secolo, di un vecchio taccuino. Sarà proprio Marco, con la sua incontenibile curiosità e con lo spirito incantato tipico della sua fanciullezza, a conferire dignità di storia “possibile” a quella che sembrava solo una fantasia popolare.

Di Silvana Da Roit non possiamo non apprezzare la raffinatezza della scrittura, che ci accompagna dalla prima all’ultima pagina dell’opera in un percorso avvincente, alla scoperta di un luogo ove il lettore desidera ardentemente approdare e nel quale si muovono personaggi che toccano le corde dell’anima, declamando valori profondi quali l’amicizia, l’amore familiare e l’indissolubilità di alcuni legàmi…oltre il tempo e in spregio alle difficoltà.

Un libro da leggere, un’autrice da scoprire!

Buongiorno Silvana, innanzitutto grazie per aver accettato di rilasciare un’intervista per Metismagazine. Raccontaci un po’ di te. Chi sei nella vita e di cosa ti occupi?

Buongiorno a voi! Sono nata nel 1960 e cresciuta a Domodossola, al confine con la Svizzera. A parte gli anni delle elementari, non mi sono mai allontanata troppo da questa cittadina. Ho imparato ad amarla anche quando mi stava stretta, forse, proprio da questo sentimento è nata la curiosità di conoscerne la storia.

In quanto agli studi, – non ne vado troppo fiera – non ho dato gli ultimi tre esami per conseguire la laurea in filosofia presa come ero nel costruirmi una famiglia, quel nido cui aspiravo essendo figlia di genitori separati. Per dedicare tempo ai miei figli, ho lavorato part time facendo la commessa, la segretaria di una associazione di viticoltori, pulizie in casa privata e in uffici, insomma, di tutto e di più.

Quando i ragazzi si sono laureati, ho iniziato a ritagliarmi del tempo scrivendo piccoli articoli di storia su un sito aperto con l’aiuto del mio compagno: I racconti del viandante, storie della Valle Ossola.

È nata così, quindi, la tua avventura nella scrittura?

Direi di sì, da quel momento ho iniziato a innamorarmi della scrittura e a scrivere piccoli racconti che, però, non risultavano mai all’altezza delle mie aspettative. Intuivo di non avere una penna scorrevole, anche se potenzialmente dotata, di non avere padronanza e di non conoscere determinate tecniche. Sentivo la necessità di trovare qualcuno o qualcosa che mi aiutasse a crescere in questo campo.

Quando ho deciso di iscrivermi al laboratorio di scrittura creativa di Stefania Convalle, scrittrice ed editrice, ho capito di essere approdata nel luogo giusto per dare definizione e luce al mio modo di scrivere.

C’è un libro a cui ti senti particolarmente legata? 

Ho amato in modo viscerale La casa degli spiriti di Isabel Allende, il suo modo di scrivere mi ha spalancato un mondo, ma più che i libri letti nella maturità devo dire grazie a quelli letti da giovanissima.

Prima dei dieci anni, a parte i classici per ragazzi, leggevo i gialli Mondadori e la serie Urania, rubandoli a mio padre. Ero una lettrice compulsiva, mi adattavo a leggere l’enciclopedia o qualche romanzo che girava misteriosamente in casa, tipo Cioccolata a colazione di Pamela Moore o Un albero cresce a Brooklyn di Betty Smith. Non avevo un mentore, qualcuno che parlasse di libri, ma con l’avvento dei teleromanzi iniziai a conoscere autori come A.J. Cronin e più di una volta andai a leggermi, rigorosamente in biblioteca, romanzi da cui erano stati tratti bellissimi film come Il buio oltre la siepe della Harper Lee; poi, spulciando la sua biografia scoprii il suo amico Truman Capote con Colazione da Tiffany, ma soprattutto L’arpa d’erba.

Solo alla fine delle medie, ebbi modo, grazie a un’insegnante lungimirante, di aprirmi al mondo della letteratura italiana del Novecento: Moravia, Alvaro, Fenoglio, Bassani, Patti… Leggevo di nascosto Cesare Pavese, mia madre diceva che mi immalinconiva troppo.

Lo scorso anno ha visto la luce il tuo romanzo d’esordio, “I tunnel di Oxilla”. Dov’è ambientato e cosa racconta?

Nel romanzo si narrano vicende ambientate nel borgo di Domodossola. Denominatore comune, la ricerca e la riscoperta di segreti passaggi sotterranei, dimenticati nel tempo e visti, ormai, come fantasie popolari. Posso dire che nel titolo sono già racchiusi gli elementi essenziali: i tunnel con i loro segreti e il luogo della loro appartenenza, Oxilla, uno dei tanti nomi con cui veniva chiamato il nostro borgo.

Essendo appassionata di storia locale, ho raccolto per lungo tempo informazioni sui passaggi sotterranei di Domodossola, muovendomi in tre direzioni: ricerche sui principali testi di storia; indagini sul campo scendendo in quasi tutte le cantine del centro storico, e non, per verificare l’esistenza di aperture sui vari tunnel; decine di interviste con raccolta di testimonianze a persone che non solo ne avessero sentito parlare, ma che ne avessero percorso alcuni tratti.

Alla fine, avevo un buon quantitativo di materiale che aspettava di essere romanzato. Diciamo che il tutto parte da una base storica reale ed è condito dalla fantasia. Anche le leggende, aggiunte qua e là e inventate di sana pianta, hanno la caratteristica della verosimiglianza. Basti pensare che il nome della protagonista femminile è stato scelto perché trovato in alcune annotazioni a lato di un breviario di fine Seicento; breviario scovato in un sottotetto del borgo da una delle tante persone intervistate. Naturalmente c’è qualche riferimento autobiografico, penso che tutti gli autori mettano un po’ di sé nelle loro storie, ma è soprattutto concentrato nella parte dedicata ai primi anni Sessanta.

Il tuo romanzo è un intreccio tra una storia ambientata ai giorni nostri e alcuni accadimenti collocati alla fine del Seicento del secolo scorso. Perchè hai deciso di rivolgere il tuo sguardo proprio a questo periodo storico?

Nel romanzo convivono due piani storici diversi. Uno è contestualizzato alla fine del Seicento ed è facile capire il perché. La raffigurazione più antica che mostra la nostra città è proprio del 1690 e di quel preciso momento storico avevo molte cose da dire. La dominazione spagnola agli sgoccioli, l’erezione del convento dei Cappuccini, il Sacro Monte Calvario, le piene del Bogna che ancora non aveva il suo muraccio o argine; in quel periodo il barone Stockalper viveva esiliato nella nostra città pur continuando i suoi affari ed era ancora vivo il ricordo della peste, delle grandi carestie, degli ultimi processi alle streghe della valle. 

Tanta roba cui attingere, sì, ma il problema era che non potevo romanzare alcune notizie che riguardavano il periodo successivo fino ad arrivare agli anni Sessanta; per questo ho dovuto intrecciare un’altra storia, partendo da un ragazzino che aveva trovato, guarda caso in solaio, un diario scritto secoli prima e in cui si parlava di tunnel.

I protagonisti sono quasi tutti ragazzini come lo furono, ai tempi delle loro scoperte, le persone da me intervistate sull’esistenza dei tunnel e vivono quell’esperienza come una sorta di iniziazione, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, scoprendo il valore universale dell’amicizia.

Marco è il protagonista della storia ambientata negli anni Sessanta. È un ragazzino timido, bullizzato dai compagni di scuola; vive una situazione famigliare delicata dovuta all’assenza della madre e al carattere scontroso del padre.

Joanna Francisca e Cencio animano il racconto contestualizzato alla fine del Seicento. Lei è figlia di nobili, egoista, viziata, impertinente, ma piena di slanci; lui un orfano accolto dai frati, libero di muoversi nei meandri del borgo come un essere ramingo e invisibile. Sarà lui, nonostante le sue menomazioni, a guidare Joanna alla scoperta dei tunnel.

Fanno da contorno personaggi in età avanzata che rappresentano il sapere e l’esperienza, mentre i famigliari sono poco delineati oppure pieni di lacune. Volutamente.

Perché leggere “ tunnel di Oxilla”…

Motivi per leggere questo romanzo? Qualche blog l’ha definito romanzo storico, io non sarei così netta; in fondo la parte storica è solo uno strumento per svolgere una trama. Per me è un romanzo alla portata di tutti e di tutte le età, anche grazie a una scrittura semplice, scorrevole e penso sia un gran pregio. Il suo punto di forza sono i buoni sentimenti, la spontaneità e la pulizia morale dei protagonisti, il che non guasta.

Ci hai convinto! Dove possiamo trovarlo?

Si può acquistare il romanzo direttamente dal sito di Edizioni Convalle www.edizioniconvalle.com oppure ordinandolo ai propri librai di fiducia.

Progetti per il futuro?

Non nascondo che ormai ci ho preso gusto. Il prossimo romanzo, che ha come protagoniste indiscusse le donne, vedrà la luce prima dell’estate e intanto sto lavorando al terzo. Chi ha tempo non aspetti tempo!

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