Bella, bionda e costretta a fingersi scema.
Così come Marilyn Monroe, anche la dimenticata e per niente dimenticabile attrice Jayne Mansfield è stata costretta, tra gli anni ’50 e ’60, ad adeguarsi allo stereotipo della “bionda svampita” al Cinema, nonostante avesse l’intelligenza un genio.
Questa è la storia dell’atomica diva dalla circonferenza toracica di 107 cm e dal Q.I. di 162 (uno in più di Einstein) che Oriana Fallaci definì «la ragazza più simpatica, più sincera e più incompresa d’America».
Jayne Mansfield nasce come Jayne Palmer il 19 aprile 1933 a Bryn Mawr, in Pennsylvania, unica figlia di un facoltoso avvocato e una insegnante. Nonostante la sorprendente eredità lasciatale dai nonni materni, Jayne ha il suo primo contraccolpo della vita a soli tre anni, quando l’amato padre muore per un attacco di cuore mentre guidava, in una sorta di presagio triste, l’auto con tutta la famiglia dentro.
Trasferitasi a Dallas (Texas) con la madre e il suo nuovo marito, Jayne prende l’abitudine di farsi chiamare Vera Jayne Peers, pronta a coronare il suo sogno di diventare la nuova Shirley Temple.
Proprio per rincorrere le luci della ribalta, già a 12 anni l’artista inizia a prendere lezioni di ballo da sala e poi al liceo di violino, viola e pianoforte.
Precocissima plurilingue (conosce perfettamente il tedesco e lo spagnolo, alle quali si aggiungeranno poi pian piano altre 4 nuove lingue) e esperta nei calcoli matematici più complessi, si sposa a 17 anni con Paul Mansfield che convincerà qualche anno dopo a trasferirsi in California per la conquista del magico mondo di Hollywood.
Per mantenersi gli studi di arte drammatica all’università di Dallas Jayne lavora come venditore di libri porta a porta e receptionist in uno studio di danza e per mantenersi i primi tempi nella città degli angeli come modella di nudo artistico (vedi Playboy) e venditrice di caramelle nei cinema.
Nonostante Jayne ami recitare a memoria i sonetti di Shakespeare e sia un’avida lettrice di drammi ottocenteschi, viene comunque etichettata a Hollywood come “il petto“, per quella sua libera schiettezza di esibire la propria carica erotica andando sempre in giro con scollature vertiginose e piccanti.
Questo cliché da bomba sexy e un po’ volgare le resterà appiccicato per tutta la sua carriera, dai primi film come Tempo di furore (1955) e La baia dell’inferno (1955) fino a Lo scassinatore (1956), L’adescatrice(1956) e Gangster cerca moglie (1956), ad esempio.
Per non parlare dei suoi due migliori film, Baciala per me e La bionda esplosiva o di Promises! Promises! (1963) dove diventerà la prima attrice protagonista americana a mostrarsi in topless in una pellicola.
Se il mondo della celluloide la relegherà sempre a ruoli mediocri da oca bionda e giuliva, la sua superba interpretazione teatrale nel 1956 “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller sarà invece l’unica occasione a renderle giustizia per il suo talento, tanto da farle vincere addirittura un Theatre World Award.
Accecata dal suo sogno di diventare una diva, la sua giunonica carnalità e il suo sfrontato opportunismo spinge Jayne a imbastire relazioni con numerosi personaggi famosi come John e Bob Kennedy John Wayne, Tony Curtis, Dean Martin e Burt Reynolds.
«Per conquistare il mondo una ragazza non deve esibire il cervello. In una ragazza glamour il cervello è sempre stato un elemento di disturbo».
Oltre agli amanti facoltosi, Jayne colleziona matrimoni uno dietro l’altro come con il culturista camp-ungherese Mickey Hargitary o l’ultimo, il malvagio avvocato divorzista (conosciuto dopo l’addio a Matt Climber) Sam Brody che la inizierà all’uso dell’LSD, all’acquisto di costosissime e inutili auto sportive e al pericoloso gioco d’azzardo.
Eppure, al di là di queste unioni infelici, Jayne è la madre amorevole di 5 figli, sempre dolce e disponibile coi suoi bimbi (Mariska Hargitay, l’Olivia Benson di Law&Order SVU la ricorda ancora di notte quando, per farli addormentare, suonava il violino per loro tra una stanza e l’altra delle 40 di “Pink Palace“, quella sua villa tutta rosa sulle pendici di Beverly Hills).
Secondo il documentario i Mansfield 66/67 di Todd Hughes e P. David Ebersole, a metà anni ’60 Jayne in piena crisi artistica e soggiogata dall’idea che il presente e il piacere fine a se stesso potessero essere lo scopo ultimo dell’esistenza, si avvicina al satanismo attraverso l’oscuro santone Anton LaVey.
Per questo motivo, i primi abusi di sostanze e l’esibizionismo della propria corporeità eccessivo e un po’ borderline, Hollywood si chiude definitivamente alle sue spalle.
Per mantenersi, allora, Jayne si riduce a fare delle piccole comparsate televisive unite a serate ad intermittenza in alcuni strip-club in cui si esibisce sempre in abiti succinti, spesso ubriaca per la gioia meschina del pubblico.
Dopo aver passato l’inferno, a 34 anni Jayne è finalmente pronta a riprovare con il cinema scrollandosi di dosso quel personaggio da pin-up stupidella.
Ma è il 28 giugno 1967 e la Buick Electra blu che la sta accompagnando alle 2;25 di notte a New Orleans per una intervista radiofonica corre troppo veloce sulla Highway 90.
Sulla parte posteriore della macchina viaggiano con lei tre dei suoi amatissimi bimbi, Milós, Zoltán e Mariska.
Jayne sembra avere le guance colate dal rimmel per il pianto, nonostante i sorrisi leggendari che poco prima ha sfoderato, sempre disponibilissima, ai suoi fan in un autogrill.
In auto siede con in braccio i chihuahua Momsicle e Popsicle, accanto c’è l’amante Sam e alla guida infine Ronnie, un ventenne che lei ha abbordato poco prima in un locale per farle da autista e che corre così veloce da non riuscire a frenare di fronte a un camion che a sua volta ha appena frenato per non tamponare un piccolo trattore che sta spruzzando in autostrada disinfettante contro le zanzare.
Dall’impatto violentissimo si salveranno solo i tre figli, invece bombshell Jayne sarà letteralmente decapitata per il colpo.
Secondo il racconto del comandante di polizia di New Orleans:
«La sua testa volata via dall’auto sembrava una parrucca, una bellissima parrucca bionda, di quelle che le attrici portano con sé in sagome di legno imbottite di velluto per non farle sformare.»
Muore, così, con la testa staccata dal corpo, la bomba sexy di Hollywood che mai ha voluto far pesare a nessuno il suo brillante cervello.
«Oh, sì! Sì! Sì! Mi piace tanto essere Jayne Mansfield! Mi piace di fuori, come è fatta di fuori, come è fatta di dentro, mi piace da tutte le parti, non c’è niente e nessuno al mondo che mi piaccia quanto lei. Senta: è carina, è simpatica, è allegra, è buona, non dà noia a nessuno, non mette le corna al marito, se piange le passa, è un’attrice di prim’ordine, una madre stupenda, vive come le pare, se ne frega d’esser chiamata cretina: ma dove la trova una così? E, se vuol saperlo, son sicura che andrà in Paradiso. Ci crede?»
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