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INTERVISTA A FRANCESCA CECI E ALESSIA PULEIO, AUTRICI DEL GRAPHIC NOVEL “POSSIAMO ESSERE TUTTO”

Realizzato in collaborazione con Amnesty International ed edito da Tunué, “Possiamo essere tutto” è un graphic novel che sarebbe indispensabile trovare tra i banchi di scuola.

L’armonioso connubio tra l’ideazione e la scrittura di Francesca Ceci assieme ai disegni di Alessia Puleio ci conduce per mano a conoscere la  famiglia Fares, di origine marocchina ma oramai trasferita a Roma da quindici anni.

Attraverso il confronto con questo microcosmo privato, il focus di questo album sui contingenti temi dell’immigrazione e dellintegrazione palpiterà di tavola in tavola con delicata ma pervicace sensibilità.

La nostra intervista alle autrici di “Possiamo essere tutto” Francesca Ceci e Alessia Puleio.

Da dov’è nata l’idea di “Possiamo essere tutto”?

FC: I temi della migrazione e dell’integrazione, della crescita e della ricerca identitaria sono temi cui mi sono sempre interessata e che ho cercato di approfondire, sui quali volevo lavorare già da tempo, probabilmente perché relativi a una realtà molto vicina e attuale che mi accompagna da anni. Con Tunué e con Amnesty International Italia – che ha patrocinato il libro – ci siamo confrontati e quindi trovati a condividere una visione comune che ha costituito il punto di partenza e di forza per la realizzazione della storia.

Come siete riuscite a conciliare questo armonioso incontro tra ideazione scritta e realizzazione illustrata della vostra opera?

AP: È stato possibile conciliare il nostro lavoro grazie ad un libero scambio di riflessioni, idee e informazioni. Ogni volta che terminavo la prima fase di lavoro, inviavo tutto a Francesca, in modo tale che lei mi potesse dare il suo parere in merito, che è stato molto d’aiuto! Penso che la comunicazione stia alla base e faccia la differenza.

Alessia come mai nelle tavole di questo libro si è allontanata dallo stile grafico che di solito usa abitualmente?

AP: Ho pensato di approcciarmi a un tipo di disegno diverso dal mio solito per mettermi alla prova, ma anche per uscire fuori da quegli schemi che mi ero imposta. L’arte deve essere una forma di libertà, e per affrontare il mio primo progetto ho pensato di disegnare con questo principio, seguendo al contempo le indicazioni di Francesca.

Hadi, Raja e Amal, i tre fratelli protagonisti del vostro grapich novel, sono immigrati marocchini ancora in bilico tra il bisogno di preservare le tradizioni di un mondo perduto e l’importanza di domare una nuova cultura per ricucire a mano una nuova identità. In che modo il vostro progetto cerca di educare le nuove generazioni a un gesto di apertura non solo individuale ma anche sociale all’altro da sé?

FC: Sono convinta che solo la conoscenza del cosiddetto altro possa essere il punto di partenza per l’abbattimento dei pregiudizi e, di conseguenza, delle discriminazioni. Affacciarsi nella vita di una famiglia che appare diversa, avvicinarsi ai suoi personaggi, imparare a conoscerli e a conoscere le loro storie è un buon primo passo per la scoperta di qualcosa di nuovo. O di inaspettatamente più simile di quel che si potrebbe immaginare.

Nella vostra storia avete ritratto con particolare attenzione tre figure femminili. Donne che, in maniera diversa ma in fondo uguale, cercano quotidianamente di abbattere pregiudizi religiosi e di genere. Citando Chimamanda Adichie, una scrittrice cara a una delle protagoniste, come potremmo imparare a essere tutti femministi?

FC: Le tre protagoniste di Possiamo essere tutto sono donne che hanno lottato e che lottano per conquistare quel che ritengono giusto e che sperano le renda anche felici. Il loro è un percorso di conquiste e di diritti ma anche di rinunce e di dolore. Emergono nella storia della madre Nur che con il marito Salim ha scelto di lasciare il proprio paese confidando in un futuro migliore e rinunciando  allo stesso tempo alla famiglia di origine e probabilmente ai propri sogni lavorativi; nella vicenda di Raja, che ha le idee chiare sul proprio futuro e che non ha intenzione di abbandonarle, anche se per realizzarle dovrà rinunciare ad altri aspetti della propria vita altrettanto importanti; e infine nel percorso di Amal, che ha deciso di indossare il velo con la consapevolezza che questo sarà causa di scherno e talvolta di emarginazione, di vera e propria discriminazione, ma che nonostante questo, o forse proprio per questo, fa una scelta libera e cosciente anche identitaria. Anche nel caso del femminismo, l’ascolto, la conoscenza e l’apertura sono i presupposti per capire che cosa significa e come si può imparare ad esserlo. Scegliere alcune letture piuttosto che altre, evitare i luoghi comuni e le frasi fatte, informarsi sulle piccole storie quotidiane. Ci sono moltissimi modi oggi – saggi, romanzi, riviste, fumetti newsletter, serie tv – per avvicinarsi a comprendere il femminismo e fare una scelta consapevole.

Un altro aspetto che risalta dolorosamente dai vostri personaggi è legato alla loro situazione di disparità formale. Secondo la legge italiana basata sullo ius sanguinis priva molti ragazzi immigrati del diritto a essere italiani seppur nati e cresciuti in questo Paese.  Dai ringraziamenti nel graphic novel si evince che il vostro lavoro ha tratto linfa vitale da storie vere che vi sono state raccontate. Potreste citarne qualcuna?

FC: Le storie narrate in “Possiamo essere tutto” sono storie che succedono ogni giorno e che ci passano accanto o che incrociamo. Alcune tavole prendono spunto da racconti di amici e di persone cui continuano ad accadere episodi dovuti a superficialità, luoghi comuni, curiosità, pregiudizi a volte anche inconsapevoli. Amal, ad esempio, si trova a rispondere a domande sulle sue abitudini alimentari e religiose in quanto musulmana e a dover spiegare che la sua famiglia anni prima ha viaggiato in aereo dal Marocco a Roma e non attraverso i canali dell’immigrazione clandestina; Raja si imbatte in sconosciuti che pensano di poterla toccare solo per sentire che consistenza hanno i suoi capelli, come se questo fosse un gesto inevitabile per soddisfare la propria curiosità e non un’invasione dell’intimità di un’altra persona.

Se poteste consigliare ai lettori dei graphic novel che vi hanno cambiato la vita, quali sarebbero e perché?

FC: Uno dei primi graphic novel cui penso sempre come spartiacque tra il prima e il dopo nel mio percorso di lettrice e poi di autrice è Rughe di Paco Roca, esempio di come si può raccontare e disegnare il dolore e la vita con delicatezza e bellezza e verità. Altri aspetti importanti li ho trovati in Maus di Spiegelman, nelle cronache di Guy Delisle, nella sensibilità di Jirō Taniguchi, nelle storie di Marjane Satrapi, nei ritratti di donne di Vanna Vinci.

AP: Un graphic novel che mi sta particolarmente a cuore è Rughe di Paco Roca, una storia che riguarda e deve riguardare tutti. Uno stile di narrazione che ti accompagna con gentilezza in una realtà dalle mille sfaccettature, nel bene e nel male… leggendo quest’opera ho pensato a persone a me care, al fatto che per loro voglio dare il meglio. Ricco di molteplici spunti di riflessione.

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