Andiamo al cinema per ridere, piangere, riflettere, spaventarci, per provare emozioni intense come la “paura”, non per forza quella rappresentata nei film horror, ma quella più intima e nascosta e di cui spesso non sappiamo spiegarci l’origine. Uno dei registi che ha meglio rappresentato le paure più intime dell’essere umano e le devianze mentali come conseguenza di comportamenti violenti è Alfred Hitchcock, il maestro della suspense. Influenzato dalla psicanalisi di Freud, egli stesso nutriva ansia di fronte a oggetti tondeggianti e sudava freddo alla sola vista di un uovo, ha realizzato capolavori caratterizzati da una rigorosa meticolosità, impeccabili a livello narrativo, recitativo e scenografico, rappresentando la tensione attraverso il mistero e l’angoscia e conducendo lo spettatore, con una serie di indizi, sulle tracce degli assassini. Hitchcock ci racconta di personaggi affetti da disturbi psichici e da fobie invalidanti, come ne La donna che visse due volte (Vertigo), un viaggio viscerale all’interno della mente e delle paure dell’essere umano, una delle opere più macchinose e coinvolgenti del regista in cui sin dai suggestivi titoli di testa, disegnati da Saul Bass in base alla teoria dei cerchi concentrici e geometrie “impossibili”, si insinua nello spettatore una sensazione di paura; infatti dall’occhio spalancato della misteriosa e glaciale Kim Novak (Madeleine), protagonista del film, fuoriescono spirali vertiginose come un continuo e inarrestabile precipitare verso l’ignoto. Una spirale che torna costantemente in diverse scene del film, come nelle scale a chiocciola del campanile, nei cerchi concentrici delle linee del tempo nel tronco di sequoia, nello chignon di Madeleine, negli incubi di James Stewart (Scottie) ricaduto nella sua malattia; la vertigine come simbolo dell’instabilità mentale ed affettiva, l’abisso e la paura del protagonista di affacciarsi dalle scale e di perdere la donna che ama e di cui è ossessionato.

Ossessioni, incubi, paure, traumi psicologici sono i temi principali dei film di Hitchcock, in Psyco le inibizioni sessuali e l’identità instabile di Norman generate dalla dipendenza affettiva nei confronti di sua madre lo porteranno ad uccidere; negli Uccelli l’angoscia psicologica davanti all’abbandono e alla solitudine, e quella metafisica relativa all’eventuale esistenza di un senso dell’universo e di un’entità superiore che giudicherà le nostre azioni, rappresentata in questo caso dagli “uccelli” come metafora dell’aspetto distruttivo e rapace della natura, e ancora in Marnie, cleptomane che cambia continuamente identità, con la fobia per il colore rosso e i temporali, tormentata da incubi ricorrenti in cui rivive il trauma dell’infanzia segnata dal triste ricordo della madre anaffettiva.
Hitchcock ci conduce attraverso un mondo interiore in cui i personaggi sono stretti nella propria trappola psicologica e non riescono a liberarsene, capace di cogliere gli aspetti più inconsci della mente umana, originale regista e narratore brillante, in grado di ritrarre i processi psicologici dei suoi personaggi attraverso suoni, immagini, ambientazioni, inquadrature e tecniche stilistiche ancora oggi attuali e avveniristiche perché i film di Hitchcock sono indagini sul mistero dell’animo umano, per certi versi ancora incomprensibile come le nostre stesse paure.
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