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DAGHERROTIPIA, COME NASCE LA FOTOGRAFIA

Nel lontano 1829 il chimico francese Louis Jacques Mande Daguerre e il fotografo e ricercatore Joseph Nicephore Niépce cominciarono a lavorare a un metodo che fosse in grado di catturare in maniera permanente le immagini visibili in camera oscura.

Quando di lì a poco Niépce morì, Daguerre non abbandonò il progetto. Era il 1837 quando questi potè portare a termine la sua invenzione: il dagherrotipo, un procedimento chimico di impressione su lastra metallica di rame o di argento, in un’unica copia positiva non ulteriormente riproducibile, di un’immagine catturata da una camera oscura.

Nacque così la dagherrotipia, antesignana della fotografia.

Inizialmente, richiedendo la tecnica dei tempi di esposizione particolarmente lunghi, essa venne utilizzata per ritrarre esclusivamente paesaggi e nature morte. Il primo dagherrotipo nel quale compare una persona risale al 1838.

La “fotografia” fu scattata dallo stesso Daguerre che catturò dalla finestra del suo studio una scena ritraente la trafficata Boulevard du Temple. La particolarità dell’immagine è che nella stessa, il traffico in movimento, pur presente, non compare affatto. Oltre agli elementi statici dello scorcio, le uniche persone che si vedono sono un lustrascarpe e il suo cliente.

Il motivo è semplice ed è da attribuirsi proprio ai lunghissimi tempi di cattura dell’immagine cui facevamo cenno. La dagherrotipia richiedeva, infatti, un tempo di esposizione di circa dieci minuti per poter memorizzare le immagini sul supporto metallico, sicché la macchina fotografica riuscì a catturare in quell’occasione gli unici due elementi viventi che nel paesaggio erano statici.

Proprio per via dei tempi di esposizione così lunghi la tecnica ci mise un po’ per essere utilizzata nei ritratti e fu solo quando cominciarono ad utilizzarsi sostanze chimiche, quali il bromo, in grado di velocizzare il procedimento, che questo genere fotografico si affermò.

Deve dirsi, tuttavia, che si trattava di una procedura molto costosa, accessibile solo alle persone facoltose, specie nelle più rare versioni a colori, dipinte a mano da pittori e artisti e per questo molto ricercate.

Le persone ritratte con la tecnica della dagherrotipia hanno normalmente un’espressione molto seria. Difficile trovare qualcuno che sorride. La spiegazione potrebbe risiedere nell’irripetibilità dell’immagine che, per l’appunto, non era riproducibile e che imponeva ai soggetti di posare in maniera quasi del tutto inespressiva per non rischiare di risultare poco fotogenici.

Peraltro la stessa immagine doveva essere custodita con grande cura per evitare che sbiadisse. Era frequente in effetti che i dagherrotipi si deteriorassero, per sbiadimento o per ossidazione, e in tal caso non erano recuperabili. Per tale ragione venivano messi sotto vetro secondo la modalità alla francese (in cornice) o all’americana (in astuccio).

Il dagherrotipo è un oggetto fotografico meraviglioso, ricco di dettagli, di certo ben lontano dalla velocità della fotografia digitale contemporanea, ma nonostante ciò assai affascinante e prezioso.

Un vero e proprio specchio di memoria.

Copyright: dagherrotipia

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