Tra le imperdibili autobiografie di recente pubblicazione, merita di sicuro un posto d’onore “La bambina invisibile. Diario di una transizione” (Castelvecchi Editore), il toccante racconto d’acciaio della free activist pugliese Alessia Nobile sulla sua nascita e rinascita come donna transgender.
Un percorso di transizione doloroso e liberatorio che per l’autrice non è mai stato legato a una scelta estetica ma piuttosto all’urgenza di incanalare la sua anima alla sua dimensione terrena di appartenenza, al bisogno di restituire una carezza a quella bambina invisibile che più avanti sceglierà di barattare l’illusione ottica del suo involucro esteriore con l’idea che da sempre più aveva di se stessa.
Oggi l’abbiamo intervistata per voi:

La sua autobiografia è un atto d’amore verso quella bambina invisibile nata in un corpo sbagliato che è stata. Quando è scattato il bisogno di scriverla?
Ero a casa, isolata dal resto del mondo a causa del lockdown d’inizio pandemia, una situazione nuova per tutti e tanto dolorosa. È stato in quel momento che ho avuto la necessità di dare un senso a quella solitudine accompagnata da un ozio inaccettabile per me , e così ho investito il mio tempo, ripercorrendo il passato, scrivendolo affinché non andasse perso e potesse informare chiunque incontri la natura transgender nel corso della propria vita. Un vero viaggio nell’anima.
La sua infanzia è stata ammantata da un malinconico e segreto disagio di sentirsi sempre fuori posto tra i giochi “da maschietti” e in quel grembiulino blu su cui non mancava di appuntare sempre un fiocchetto rosso. Eppure nel suo libro ha più volte evidenziato come quel periodo della sua vita fosse comunque gioioso e sereno, a riprova del fatto che la “disforia di genere” non è di certo legata a traumi subiti da bambini ma a una condizione identitaria costitutiva. Qual è il ricordo che potrebbe quindi meglio descrivere la sua infanzia?
Ricordo quel bimbo salire su una sedia , in ginocchio, per specchiarsi sul vetro della finestra del vano cucina di casa. Quel bimbo credeva di vedere riflessa la sua immagine di bimba per come la sognava , ma ciò non accadeva; e quando pioveva , pensava che quelle gocce fossero le lacrime della bambina invisibile che gridava aiuto per essere liberata, chissà…forse dal suo corpo.
In seguito la sua adolescenza è stata una di quelle imbevute nell’immaginario collettivo degli anni Novanta tra stacchetti di Non è La Rai, look total black e tinte colorate per capelli. Ma è proprio in quegli anni complicati che ha iniziato davvero a percepire che il suo femmineo “premeva contro le pareti del mio corpo e stava accelerando il suo processo di schiusa”. Com’è stato sbocciare in provincia in quegli anni pieni zeppi di pregiudizi e disinformazione in merito all’universo LGBTQI+?
Vivere in provincia sicuramente non mi ha aiutata ad affrontare al meglio quel “disagio” , era così che definivo a quei tempi la mia natura. È stato come vivere in una scatola nella scatola, circondata da mentalità chiuse e occhi pieni di meraviglia e non accettazione. Non esistevano i social e tutta l’informazione di oggi negli anni Novanta e bisognava faticare il doppio per ricavare qualche notizia sulla propria sessualità e sulle tematiche lgbtqi+. Rappresentavo una sorta d’ eccezione alla regola anche perché non ho mai nascosto la mia natura . C’erano le molteplici ” prese in giro” , ma poteva andare peggio.
A differenza di altre donne transgender meridionali che il più delle volte affrontano il loro percorso di riassegnazione di identità nell’anonimato delle grandi città del Nord, lei ha infatti deciso di vivere la sua transizione alla luce del sole proprio in Puglia, dove per altro continua a vivere. Come mai è così radicato in lei questo legame con la sua terra?
La famiglia è stata sempre al centro del mio universo e poi non potevo rinunciare al sole e al mare della mia amata Puglia. Ho deciso di non fuggire perché credevo di non essere colpevole. Non ho mai ceduto al compromesso sociale , che m’invitava a trasferirmi al Nord Italia per vivere liberamente e senza giudizi. Sono una donna troppo libera, non avrei mai potuto accettare un esilio immeritato, questo sarebbe stato contro natura.

Volitiva e brillante, lei è laureata in Scienze Sociali ma, a causa del suo essere una donna transgender, sta ancora subendo un forte ostracismo in ambito lavorativo tanto da aver scelto momentaneamente, ma sempre a testa alta, di diventare una sex worker. Da alcuni anni sta spingendo affinché lo Stato trovi una soluzione adeguata nel fornire pari opportunità lavorative ai transessuali tutti. Come sta procedendo questa sacrosanta rivendicazione di diritti?
Mi definisco una free activist perché curo la rivendicazione dei diritti in maniera libera e costante. Attraverso l’informazione vorrei che si arrivasse a cambiare il pensiero di un’Italia ancorata al pregiudizio. È questo lo scopo del mio libro, un vero e proprio diario, che raccontando le difficoltà incontrate nel mio percorso di transizione, riesca a cambiare il futuro che sogno basato sull’uguaglianza e i diritti per tutti.
Nel 2019 è stata scelta come donna transgender per rappresentare lo spot nazionale di Arcigay sul tema della violenza di genere in occasione dell’omonima giornata del 25 novembre. Non diminuisce infatti il numero di transessuali uccisi o che si sono uccisi per l’impossibilità di sopportare intolleranze e preclusioni. Per non far calare un ulteriore sipario di indifferenza su di loro, ci può ricordare di alcuni i nomi e la storia?
In Puglia ci sono stati vari casi di donne transgender suicide, almeno sei, e qualche anno fa proprio a una mia cara amica le è stata strappata la vita. Ambra è stata uccisa con un’arma da taglio, senza colpe, solo per essere se stessa. Francesca si è suicidata nel carcere di Napoli, circa dieci anni fa. Era stanca di scontare la pena nel carcere maschile. Corinna a Nizza si è suicidata , dopo aver scoperto di essere ammalata senza qualcuno che si prendesse cura di lei. Sono solo pochi nomi…E se il suicidio è spesso indotto da una società che esclude ed emargina, gli omicidi sono il frutto di mani ignobili che non accettano.
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