Il cinema: quel meraviglioso e incomparabile mondo capace di catturare l’animo con emozioni infinite. Perché il cinema è davvero la più grande macchina per emozioni che l’uomo abbia mai creato. Qualcosa che con luci, suoni, parole, è capace di entrare nella profondità di ognuno di noi. Ci restituisce frammenti di vite, ci fa riflettere e sorridere al tempo stesso. E’ uno “specchio dipinto” per citare le parole del regista e sceneggiatore italiano, Ettore Scola. Ed è proprio per questo che il cinema è un’arte così popolare, che da sempre incanta, ammalia, affascina e coinvolge milioni di persone.
Dalla sua nascita avvenuta ufficialmente il 28 dicembre 1895, quando al Salon indien du Grand Café del Boulevard des Capucines a Parigi, i fratelli Lumière proiettarono per la prima volta in pubblico il loro primo cortometraggio intitolato “La sortie des usines Lumière”, fino ai moderni film digitali, il cinema ne ha fatta di strada.Ha vissuto negli ultimi anni un momento di enorme difficoltà a causa della pandemia da Covid-19, tuttavia, però, non è cambiata la sua missione: continuare, attraverso le sue storie, ad emozionarci ancora.
Domenico Palattella, critico cinematografico iscritto al sindacato nazionale critici cinematografici italiani (SNCCI) , giornalista e sceneggiatore, ci ha accompagnato in un viaggio nella settima arte soffermandosi sul cinema italiano e i suoi protagonisti, sulla funzione del critico, di chi cioè è in grado di analizzare l’opera per svelarne bellezze o difetti, su cosa significhi oggi esercitarlo e sull’eterno fascino della sala cinematografica.
Chi è Domenico Palattella?
Sono Domenico Palattella, critico cinematografico professionista iscritto, dal 2015, al sindacato nazionale critici cinematografici italiani (SNCCI), giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Regione Puglia, sceneggiatore e saggista specializzato nella storia del cinema italiano. La passione per il cinema che nutro fin da giovane, è quella che mi spinge a coltivare questo amore come un lavoro, sia nell’ambito della critica cinematografica che nell’ambito dello scrivere per il cinema, ovvero scrivere sceneggiature cinematografiche.
Come vedi la figura del critico oggi e in che modo credi abbia impattato l’avvento di Internet e dei social?
La critica cinematografica, con il tempo, ha subito un notevole cambiamento sotto molti punti di vista: modalità espressive, fruizione e ruolo all’interno del panorama cinematografico e sociale. Prima, con le tecnologie meno avanzate, la figura del critico cinematografico era una figura intellettuale, quasi d’élite. Si scriveva sui giornali, su riviste nazionali anche non specializzate. L’avvento di internet e dei new media ha riconosciuto, ha dato maggiore importanza alla professionalità del critico cinematografico ed a rendere popolare il suo ruolo. Il critico è anche uno storico che ha studiato, ha approfondito con passione il linguaggio cinematografico.
Ogni film deve essere analizzato come figlio del suo tempo, deve essere contestualizzato all’epoca della sua realizzazione. Non si possono paragonare film usciti due, tre anni fa con pellicole degli anni Cinquanta. Il contesto è diverso: è cambiato il popolo, il paese stesso. Dietro alla corretta visione di un film ci sarebbe tutto uno studio da fare. E speriamo possa passare anche dall’educazione cinematografica inserita nelle scuole. In Francia esiste, in Italia manca ancora nonostante la presenza di un patrimonio cinematografico importante e il linguaggio cinematografico debba essere parte integrante della formazione professionale e culturale di ogni ragazzo.
Sale chiuse, riprese ferme, festival cancellati. La pandemia da Covid-19 ha travolto e cambiato il mondo del cinema. Com’ è la situazione adesso?
Fin dai primi mesi del 2020, il cinema ha dovuto fare i conti con cambiamenti radicali che hanno consentito alle piattaforme di streaming, Netflix, Amazon Prime Video, NowTV, Disney+, per citarne qualcuna, di prendere il controllo, quasi totale, sulla visione dei film, a causa delle chiusura delle sale cinematografiche. Non possiamo, però, addossare le colpe della crisi degli esercenti solo al Covid-19 che, ovviamente, ha dato il suo contributo negativo; la crisi era già aperta da tempo, basti pensare agli anni Ottanta con l’avvento della tv commerciale.
Con il Covid-19 è cambiata l’esperienza al cinema. E’ un problema perché il pubblico è diventato più sedentario, preferisce vedere un film comodamente sul divano di casa e in mondovisione grazie a tutte queste tecnologie che lo permettono.
L’esperienza che si ha con una proiezione cinematografica è nettamente differente rispetto a quella del televisore o del computer: il grande schermo accresce la forza di un film. Voglio citare le parole di Federico Fellini che contribuiscono a rendere magica l’esperienza in sala: “Andare al cinema è come rientrare nel grembo materno. Si sta seduti li, immobili e assorti nel buio, in attesa che la vita faccia la sua apparizione sullo schermo”. D’altro canto, dobbiamo adattarci all’idea di un futuro prossimo in cui le sale saranno, probabilmente, molto diverse.
Il cinema italiano non è più centrale come lo è stato negli anni Cinquanta per il patrimonio di film realizzati. Oggi non c’è quell’humus culturale che porta il cinema a quei livelli così elevati. C’è una vitalità, una certa ripresa rispetto all’oblio dei primi anni 2000. C’è tanta strada da fare però tutto sommato dal punto di vista delle produzioni, dei premi internazionali siamo in ripresa.
Che cos’è un capolavoro?
Un capolavoro è un film che analizza il suo tempo in maniera esplicativa da un punto di vista sociologico. Il cinema è stato definito come specchio della società e questo trova in Italia la sua applicazione. Un film che analizza perfettamente il contesto sociologico rispetto al quale è ambientato rasenta o in alcuni casi è un capolavoro.
La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino, vincitore del Premio Oscar come miglior film in lingua straniera nel 2013, ha analizzato la deriva ambientale e sociale della Roma dei tempi moderni. La dolce vita (1960)di Federico Fellini, ad esempio, ha raccontato un caleidoscopio di vizi e virtù della Roma che cambiava. Un’Italia risorta dalle macerie della guerra e che si avviava al miracolo economico. Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini ha raccontato la resistenza romana. E’ considerata una delle pellicole più rappresentative del neorealismo proprio perché prevedeva una narrazione fedele di quello che accadeva realmente nelle strade.
Tutta la commedia all’italiana con i suoi grandi registi Monicelli, Risi, Scola e i suoi attori-protagonisti Gassmann, Tognazzi, Sordi, Manfredi, Mastroianni sono pellicole che ci raccontano. Sono commedie da rivedere per capire come eravamo ma anche per capire come siamo oggi con i nostri vizi e con le nostre virtù.
Nel libro “Le donne del cinema italiano. Cento anni (e più) di dive senza tempo”, ci hai fatto viaggiare attraverso le attrici e le dive più rappresentative, tenendo conto del loro valore artistico, della rilevanza divistica, del successo popolare e della traccia che queste bellissime donne hanno lasciato nella nostra società. Donne di ieri e di oggi, due dive a te più care?
È difficile stabilire una diva, una donna, un’attrice con certezza. Ce ne sono tante nascoste. Ritengo che ci siano delle attrici che non debbano essere dimenticate e che meritino, attraverso delle manifestazioni, pubblicazioni, di essere ricordate come Marisa Merlini, Tina Pica, rispetto alle più celebrate Gina Lollobrigida, Sofia Loren, Claudia Cardinale.
Una delle attrici del passato a cui sono particolarmente legato è certamente Virna Lisi. Un’attrice molto bella, a lungo sottovalutata, che voleva essere ricordata per il suo lavoro, per il suo talento e le sue doti di interprete. A Hollywood i produttori delle grandi major se la contendevano. Cercavano l’erede di Marilyn Monroe morta nel 1962 per un’overdose di farmaci e quasi disperavano di riuscirci. Bionda, occhi azzurri, di una bellezza perfetta: Virna Lisi era quella giusta. Forse ancor più affascinante. Un cliché, però, che le stava stretto, troppo stretto. Ad un certo punto, infatti, la Lisi decise di fare le valigie e di tornare in Italia rescindendo il contratto milionario con la Paramount (per cui dovette pagare una cospicua penale) dopo appena tre anni e quattro film realizzati. Il ruolo di protagonista di Barbarella, dopo il suo rifiuto, fu assegnato a Jane Fonda.
Valeria Golino è tra le attrici e registe di oggi che preferisco. Sulla cresta dell’onda da oltre trent’anni, la Golino, è l’unica attrice italiana ad aver vinto due Coppe Volpi per la migliore interpretazione femminile alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (Storia d’amore di Francesco Maselli e Per amor vostro di Giuseppe M. Gaudino). Oltre ad essere una grande attrice è una donna – regista dotata di una certa visione cinematografica e rappresenta un’eccellenza italiana tutta al femminile. Ce ne sono anche altre che ammiro molto e che possono essere definite le nuove leve del cinema italiano: Anna Foglietta, Micaela Ramazzotti, Jasmine Trinca.

Per non dimenticare i grandi artisti del passato è nata una collana di saggi monografici per raccontare e ricordare importanti personaggi del nostro cinema. Il primo volume della collana Cine-suggestioni (Antonio Dellisanti Editore) da te curata s’intitola Renzo Montagnani. Un uomo libero. Com’è nata l’idea?
Oggi più che mai è necessario che non si disperda la memoria storica dei grandi personaggi del nostro cinema, di quegli attori ugualmente grandi come altri ma poco analizzati e valorizzati. Renzo Montagnani rappresenta un caso davvero unico nella storia dello spettacolo italiano. Il suo volto rimane indelebilmente legato alla commedia sexy, ma grazie al suo poliedrico talento, è stato in grado di spaziare allo stesso modo in tutti i generi e in tutti i registri interpretativi (cinema, teatro, televisione). E’ stato apprezzato dalla critica, da registi come Monicelli, Salce e la Wertmüller e da scrittori come Montanelli e Soldati. Montagnani dovette anche accettare a lungo quei ruoli nella commedia sexy degli anni Settanta, per poter coprire le spese ingentissime per le cure del figlio Daniele gravemente malato che era ricoverato in permanenza presso una clinica di Londra.
Un saggio “corale” per il contributo prezioso di trenta collaboratori che hanno lavorato per consegnare al lettore e alle nuove generazioni un ritratto inedito avvincente e di forte impatto emotivo dell’attore e dell’uomo. Contribuiscono a delineare la figura di Montagnani le interviste, numerosissime, contenute nell’appendice del libro, realizzate a colleghi, amici ed artisti da Lino Banfi a Paolo Ruffini, che hanno avuto modo di lavorare e collaborare con lui. Il volume è nato da un’idea e prodotto dall’Associazione Culturale “Cinema italiano degli anni d’oro”. La prefazione, invece, è stata scritta dal critico cinematografico, Marco Giusti.

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