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KAPLANA CHAWLA: LA PRIMA ASTRONAUTA INDIANA NELLO SPAZIO

Alla domanda “cosa vorresti fare da grande?” c’è chi ha le idee un po’ confuse e c’è chi invece risponde con determinazione trasformando i propri sogni in realtà, è quello che è accaduto a Kalpana Chawla, la prima astronauta indiana a volare nello spazio. Nata nel 1962 a Karnal, un villaggio vicino Nuova Delhi, da una famiglia della classe media, Kalpana cresce in una società tipicamente maschilista in cui agli uomini è concessa la piena libertà e alle donne viene ostacolata ogni tipo di emancipazione. Sin da piccola dimostra di essere molto indipendente e curiosa, attratta da velivoli di ogni tipo, viene incoraggiata dalla madre, di spirito liberale, a studiare, infatti fu la prima donna iscritta e laureata in ingegneria Aeronautica al Punjab Engineering a Chandigarh nel 1982, proseguendo con un Master presso l’Università del Texas di Arlington e un dottorato di ricerca in ingegneria aerospaziale, in quegli anni sposa Jean-Parrie Harrison, un istruttore di volo americano e scrittore di libri sull’aviazione e nel 1998 inizia a collaborare con il NASA Ames Research Center, raggiungendo il suo sogno quando era solita dire “di voler fare qualcosa di grande”. Da quel momento in poi la vita di Kalpana cambia radicalmente, dopo una lunga attesa e un addestramento di tre anni, parte il 19 Novembre 1997 per la sua prima missione nello spazio con altri sei astronauti sullo Space Shuttle Columbia, diventando la prima donna indiana a volare nello spazio e la seconda persona di origine indiana in orbita dopo Rakesh Sharma. Durante la missione però qualcosa va storto, il suo compito di manovrare il braccio robot esterno della navicella spaziale fallisce e lei, costernata, pensa che la sua carriera spaziale sia terminata, invece l’inchiesta interna della Nasa appura che ci furono una serie di errori collettivi commessi dall’intero equipaggio, questo le consentirà di essere selezionata per una seconda missione, una sorta di rivincita per lei, che subirà parecchi ritardi per problemi tecnici.

La missione chiamata STS-107 ottenne il via libera soltanto nel Gennaio del 2003 e il primo Febbraio di quell’anno Kalpana parte per il suo ultimo viaggio. Lo Shuttle Columbia si stava dirigendo ad un’altezza di 203.000 piedi (circa 62.000 mt) sopra il Texas centrale, procedeva a una velocità di 20.000 km/h e un quarto d’ora prima di atterrare a Capo Kennedy si interruppero le comunicazioni con Houston, a causa di qualche malfunzionamento che aveva di fatto danneggiato lo scudo termico del velivolo, il Columbia si disintegra e insieme a lui tutto l’equipaggio.

Una fine tragica quella di Kalpana di cui si perse il corpo fisico ma non la sua memoria ancora oggi celebrata in India come simbolo di perseveranza, determinazione ed emancipazione femminile, oltre che di rinascita tecnologica dell’India che vede oggi la zona di Bangalore trasformata in una seconda Silicon Valley dell’elettronica mondiale.  

Dove c’è volontà, si trova un modo”, così diceva la giovane astronauta che viaggiò per oltre 10.400 miglia in 252 orbite sulla Terra, visse per più di 372 ore nello spazio, impensabile per una donna con il suo background che ha lottato duramente contro le regole stabilite dalla sua società per realizzare i suoi sogni, una storia straordinaria che, seppur breve e tragica, meriterebbe una trasposizione cinematografica come esempio di emancipazione femminile per tutte le generazioni.

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