ATTUALITÀ

“SOLO È IL CORAGGIO” DI ROBERTO SAVIANO.

Giovanni Falcone raccontata dallo scrittore di Gomorra e Zero, zero, zero.

“Il coraggio ha le ossa fragili e un cuore svelto, in perenne affanno. Lo sai bene, Giovanni. Ha paura il coraggio come un criceto in gabbia. Sta accoccolato nel petto dell’uomo qualunque, della donna qualunque, e teme gli attacchi. Ma li fronteggia, perché questo soltanto li si richiede: di avanzare, di tirare dritto, con la paura a un passo da lui…

In “Solo è il coraggio. Giovanni Falcone, il romanzo” (Bompiani, 2022), Roberto Saviano ci racconta una delle pagine più buie della storia della Repubblica e illumina la vita di Giovanni Falcone, un uomo che, nel pieno della carriera, fu in realtà al culmine del suo isolamento, levando il canto altissimo della sua solitudine e del suo coraggio.

È il coraggio quello che scorre in Giovanni Falcone, in Francesca Morvillo, legata al giudice non solo da un sentimento indissolubile ma da un senso profondo di giustizia: la lotta alla Mafia.

È il coraggio quello che scorre in Cesare Terranova, Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Gaetano Costa, Paolo Borsellino, Ninni Cassarà e molti altri uomini e donne, che hanno scelto di seguire Falcone, le sue idee, e sono pronti a combattere il fuoco mafioso a costo della loro stessa vita.

Grazie ad un accurato ed attento lavoro di ricostruzione storica, degli atti dei processi, grazie alle preziose testimonianze, Saviano ci riporta capitolo dopo capitolo in quegli anni, strappando Falcone alla fissità dell’icona per mostrarci l’umanità, la fragilità, la sensibilità, i sentimenti, le angosce, i tormenti, l’intelligenza, l’intuito, la caparbietà, il rispetto e la profonda solitudine, dell’uomo – magistrato. Perché solo è il coraggio.

Roberto Saviano, Solo è il coraggio, Bompiani

1992 – 2022 TRENT’ANNI DALLA STRAGE DI CAPACI

“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”. Giovanni Falcone

23 maggio 1992: alle 17, 57 minuti e 48 secondi in Sicilia la terra sta tremando. I sismografi dell’Istituto nazionale di geologia e vulcanologia di Erice registrano un piccolo terremoto, pari al terzo grado della scala Mercalli. A fare vibrare gli aghi dei sismografi non è la natura ma l’uomo.

500 chili di tritolo, nitrato d’ammonio e T4 (ciclotrimetilentrinitroammina), preparati dall’artificiere Pietro Rampulla e nascosti in un cunicolo sotto l’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo. Quei 500 chilogrammi di tritolo sono per Giovanni Falcone, sua moglie Francesca e gli uomini della scorta.

È Giovanni Brusca, piazzato sulla collinetta che domina Capaci, a scatenare la strage mafiosa più nota e ricordata della storia italiana. Il giudice Falcone stava tornando da Roma, come era solito fare nei fine settimana. 

La carica di esplosivo e piazzata sotto un tunnel fa volare l’auto di Giovanni Falcone. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

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