Non si può vivere nell’odio. Non si semina niente. Lydia Franceschi
Lungo la strada della vita si incontrano tante persone, alcune non lasciano nessun segno, altre ci prendono per mano e ci guidano per farci capire da che parte sta il male e per che cosa vale davvero la pena lottare. Sono stata fortunata a incontrare Lydia Franceschi quando ero all’inizio del mio cammino nella vita. E’ stata un esempio. Non finirò mai di ringraziarla.” Tiziana Ferrario
La giornalista e scrittrice Tiziana Ferrario, racconta, nel suo nuovo libro dal titolo, “La bambina di Odessa. La battaglia di una madre, la promessa fatta a un figlio” (Chiarelettere), la storia di Lydia Buticchi Franceschi, una donna coraggiosa e tenace capace di rialzarsi e costruire qualcosa di buono ogni volta che la vita l’ha messa davanti a prove durissime. La storia prende il via dalla città di Odessa, perla del Mar Nero, nei secoli teatro di massacri e gesta eroiche, il cui nome riecheggia oggi in tutti i notiziari del mondo a causa del conflitto russo-ucraino. Nata il 1 maggio 1923 da Amedeo Buticchi, esule italiano perseguitato dal fascismo e da Lidia Pavani, interprete italorussa, una bambina che la vita ha messo subito alla prova rendendola orfana di madre a pochi giorni dalla nascita e privata dell’amato padre a soli dodici anni.
“Le era stato riservato un destino crudele, e quello che era solo l’inizio di una catena di tragici accadimenti che avrebbero segnato la sua esistenza trasformando la bambina di Odessa, in una donna forte e determinata”
Lidya non si è mai arresa, è vissuta in orfanotrofio, ha lavorato per mantenersi agli studi conseguendo la maturità scientifica per accedere alla Facoltà di Chimica presso l’Università di Napoli. Una della poche studentesse in una facoltà scientifica, una vera pioniera.
Un ruolo importante anche nella Resistenza italiana, come staffetta partigiana e come insegnante e preside. E poi l’amore sbocciato con un colpo di fulmine per Mario che diventa marito e padre di Roberto e Cristina, i suoi amati figli.
“Per me era stato ovvio sposarlo – avrebbe raccontato tanti anni dopo Lydia, ormai novantenne. Io e Mario ci siamo amati come due pazzi. Quello era l’uomo con cui mi piaceva vivere. Concordavamo sulle analisi politiche, avevamo gli stessi gusti anche se sulla le preferenze erano diverse. Stavamo bene insieme e man mano siamo diventati indispensabili l’uno all’altra.”
Una bella famiglia che è vissuta felice per vent’anni fino al 23 gennaio 1973, giorno in cui Roberto rimane vittima di un proiettile sparato da un’arma in dotazione alle forze di polizia durante uno scontro tra polizia e studenti dell’Università Commerciale Luigi Bocconi (morì dopo una settimana di coma il 30 gennaio).
“Nelle stesse ore in cui Neil Young annunciava l’accordo sul cessate il fuoco raggiunto a Parigi, Roberto si stava preparando per andare a un’assemblea in Bocconi, l’università che frequentava da due anni. Aveva scelto Economia politica e gli esami andavano bene, tutti 30. Il suo impegno in politica era cresciuto ed era diventato uno dei giovani dirigenti del Movimento Studentesco…. Da ottobre era diventato supplente di lettere alla scuola media Casati. Ormai la Bocconi era rimasta l’unico Ateneo dove ancora si poteva fare attività politica senza che il rettore chiamasse la polizia per far sgomberare.”
Anche questa volta Lydia non si arrende e seppe tirare ancora una volta le forze per dedicare il resto della sua vita alla verità sulla morte di suo figlio Roberto, affrontando depistaggi e bugie di Stato, alla ricerca della giustizia e dell’impegno civile, con una fondazione creata in sua memoria.
“L’assassinio di Roberto non avrebbe mai avuto un nome e un cognome proprio per i depistaggi messi in atto dalla polizia ed emersi con chiarezza nelle versioni piene di contraddizioni fornite ai magistrati . Solo parecchi anni dopo si sarebbe arrivati a una condanna esemplare dello Stato italiano, costretto a pagare un significativo risarcimento, alto rispetto ai criteri abituali, ma modesto se si pensa all’enormità della colpa e alle sue conseguenze”.
Una storia che attraversa tutto il Novecento e che la Ferrario, che è stata allieva di Lydia Franceschi, espone con il risultato di lasciare una traccia profonda nella memoria di tutti noi.

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