CULTURA

TRILUSSA: VITA E CURIOSITÀ DEL POETA DI ROMA

«C’è un’ ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va… Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.»

Con il fortunato anagramma “Trilussa”, creato a sedici anni giocando con le sillabe del suo cognome, Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, divenne lo scrittore italiano che adottò fin dagli esordi il dialetto romanesco, componendo poesia satirica, bozzetto di costume e favole moraleggianti.

TRILUSSA, VITA E OPERE

Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, nasce a Roma il 26 ottobre del 1871, in via del Babuino 115, da Vincenzo un cameriere di Velletri e da Carlotta Poldi una sarta bolognese. La sua infanzia fu segnata da due tragici eventi: la morte del padre e della sorella. Dopo un breve trasferimento in via Ripetta, Carlo e sua madre si trasferirono nel palazzo del marchese Ermenegildo Del Cinque, che divenne il padrino di Carlo. Dopo aver abbandonato gli studi, Trilussa, nel 1887, a soli sedici anni, pubblica il suo primo sonetto “L’invenzione della stampa” sul Rugantino, il giornale scritto in dialetto romanesco e diretto da Luigi Zanazzo. Da qui ha inizio la collaborazione con il periodico che porterà alla pubblicazione, nel 1889, del volume “Stelle de Roma. Versi romaneschi”.

Redattore, corrispondente, cronista, Trilussa ha commentato circa cinquant’anni di cronaca romana e italiana, dall’età giolittiana agli anni del fascismo e a quelli del dopoguerra, per poi approdare, nel 1901, alla pubblicazione delle “Favole romanesche”, genere che lo consacrerà a principale poeta satirico della Capitale. Venti giorni prima della morte, avvenuta il 21 dicembre 1950, fu nominato dal presidente Einaudi senatore a vita “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo letterario ed artistico”. Consapevole della malattia e del suo destino con immutata ironia Trilussa commentò: “M’hanno nominato senatore a morte”.

CURIOSITA’

1.Personaggio popolarissimo e apprezzato ovunque. Tutte le città lo ricordano con una via, una piazza.

2.Trilussa fu padrino di battesimo del giornalista e radiocronista sportivo Sandro Ciotti, e in quella occasione probabilmente scrisse il sonetto: Er Rospo e la Gallina, che riportiamo.


Un Rospo, ner sentì che ‘na Gallina
cantava come un’anima addannata,
je domannò: — Ched’ è che strilli tanto?
— Ho fatto un ovo fresco de giornata:
— rispose la Gallina — apposta canto.
— Fai male, — disse er Rospo — male assai!
Tu lavori pe’ l’ommini, ma loro
come t’aricompenseno el lavoro?
Te tireranno er collo
com’hanno fatto ar pollo, lo vedrai.
Nun te fidà de ‘sta canaja infame
che t’ha cotto er marito ne la pila
e un fijo ner tegame!
Nun te fidà de ‘sta gentaccia ingrata
che te se pija l’ova che je dài
pe’ facce la frittata!
Pianta ‘sti sfruttatori e impara a vive!
Se loro vonno l’ova de giornata
nu’ je da’ retta: fajele stantive!

3. Trilussa morì il 21 dicembre 1950, lo stesso giorno in cui morirono Giuseppe Gioachino Belli (1863) Giovanni Boccaccio (1375), Luigi Cadorna (1928) e tanti altri celebri personaggi.

Il 13 settembre 1978, durante l’udienza generale, papa Giovanni Paolo I recitò una sua poesia, La Fede.

« Quella vecchietta ceca, che incontrai / la sera che mi spersi in mezzo ar bosco, / me disse: – se la strada nun la sai / te ciaccompagno io, che la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso / de tanto in tanto te darò na voce, / fino là in fonno, dove c’è un cipresso, / fino là in cima, dove c’è una croce. / Io risposi: Sarà… ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede… / La ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: – Cammina -. Era la fede ». Come poesia, graziosa; come teologia, difettosa. Difettosa perché quando si tratta di fede, il grande regista è Dio, perché Gesù ha detto: nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira. S. Paolo non aveva la fede, anzi perseguitava i fedeli. Dio lo aspetta sulla strada di Damasco: « Paolo – gli dice – non sognarti neanche di impennarti, di tirar calci, come un cavallo imbizzarrito. Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Ho disegni su di te. Bisogna che tu cambi! ». Si è arreso, Paolo; ha cambiato, capovolgendo la propria vita. Dopo alcuni anni scriverà ai Filippesi: « Quella volta, sulla strada di Damasco, Dio mi ha ghermito; da allora io non faccio altro che correre dietro a Lui, per vedere se anche io sarò capace di ghermirlo, imitandolo, amandolo sempre più »

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