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IL CINEMA DI FRANCO BATTIATO. UN MEZZO DI CONOSCENZA – INTERVISTA ALL’AUTRICE GRAZIANA DI BIASE

Cantautore, compositore, attore, regista, pittore e infine una breve esperienza in politica. Franco Battiato, all’anagrafe Francesco Battiato (Ionia, 23 marzo 1945 – Milo, 18 maggio 2021), è stato un artista completo. Eclettico, raffinato e visionario, nel corso della sua carriera, non ha mai smesso di evolversi, di sperimentare mescolando generi musicali diversi senza disprezzare incursioni tra le altre arti. Come accadde con il cinema quello che convenzionalmente chiamiamo “settima arte”.

Graziana Di Biase, scrittrice e docente lucana, nel suo saggio Il cinema di Franco Battiato. Un mezzo di conoscenza (Edizioni Sette Città) rende omaggio al cinema di Battiato, al suo ruolo di regista, uno degli aspetti meno noti al grande pubblico. Un lavoro completo e prezioso che ripercorre tutta la poetica del Maestro. Un libro che viene portato nelle scuole d’Italia, tra studenti e insegnanti, per far conoscere la sua arte allo spirito delle nuove generazioni.

In Sicilia, la sua terra, e al Senato della Repubblica di Roma, grazie al Centro Studi di Gravità Permanente (Csdgp) che si propone di organizzare le iniziative più efficaci per la diffusione in Italia e all’estero della multiforme attività artistica e culturale di Franco Battiato, con particolare riguardo ai suoi studi sulle pratiche meditative e su ogni altro spunto di interesse spirituale, filosofico e scientifico.

L’abbiamo intervistata per voi.

Ciao Graziana, grazie per aver accettato il nostro invito per l’intervista. Presentati ai lettori.

Grazie a te Tonia e a Metis Magazine per l’interesse nei miei confronti. Complimenti per la rivista che offre molti spunti interessanti e un saluto ai lettori. Mi definisco un’insegnante per passione, perché il contatto con i bambini o i ragazzi mi offre il grande privilegio di poter condividere la mia esperienza con la loro. Considero la scuola un’opportunità di scambio e di crescita reciproca: il docente impara ad ascoltare e l’alunno che si sente ascoltato, diventa più motivato e rende meglio. Non è sempre facile con classi affollate e tanti caratteri diversi che convivono a stretto contatto ma quando accade, ho la conferma di aver scelto la strada giusta. Il mio motto è “fai bene quello che ti capita di fare” e a volte quello che ti capita di fare, è esattamente ciò che inconsciamente avevi scelto.

Come è nata l’idea di scrivere il tuo libro Il cinema di Franco Battiato. Un mezzo di Conoscenza?

Il mio libro è nato da una coincidenza ma sono sempre più convinta del fatto che le coincidenze non esistano: quando siamo pronti, è pronto anche il mondo intorno a noi. Evidentemente ero realmente preparata ad affrontare questo percorso. Dovevo scegliere un argomento per la mia tesi di laurea in Lettere (Scienze musicologiche e dello spettacolo) a indirizzo cinema. Ascolto la sua musica da quando avevo otto anni grazie agli stimoli di mio padre. Sono cresciuta con le sue canzoni e da adolescente ho iniziato ad approfondire le tematiche dei testi. Ad un certo punto Franco Battiato ebbe la felice idea di dedicarsi alla settima arte passando da compositore ad autore cinematografico. Ed ecco quindi che si presentò la mia occasione. Scelsi di occuparmi dei suoi tre film e nacque la mia tesi sperimentale dal titolo Il Cinema di Franco Battiato – Una trilogia spirituale. Il libro si è realizzato successivamente grazie alla casa editrice Sette Città di Viterbo e il titolo è stato modificato in Il Cinema di Franco Battiato. Un mezzo di Conoscenza perché oltre ai film analizzo i documentari. Tra l’altro Battiato ha girato alcune scene del suo secondo film, Musikanten proprio a Siena, la mia città universitaria e in quella occasione gli accennai della mia idea di tesi. Grazie al maestro Carlo Guaitoli, suo storico amico e collaboratore, sono riuscita qualche anno dopo a fargli l’intervista inserita nel mio lavoro. Il libro ha il privilegio della sua prefazione e grazie ad un altro suo caro amico e collaboratore, Fabio Bagnasco, produttore dei suoi documentari, l’ho presentato con lui e Bagnasco alla Feltrinelli di Palermo nel 2012.

Franco Battiato ha ridefinito il concetto di musica pop in Italia. E’ stato uno degli autori più rivoluzionari della musica italiana, pioniere di nuovi mondi musicali. Il tuo saggio da lui definito come “un lavoro completo e prezioso” rende omaggio invece al suo cinema, al suo ruolo di regista, uno degli aspetti meno noti al grande pubblico. Qual è stato il rapporto del Maestro con la settima arte?

Secondo Battiato ogni forma artistica è collegata, perché è legata ad una scelta autoriale. Il passaggio tra le varie forme espressive nel suo caso è avvenuto in maniera del tutto naturale, perché tutte le forme artistiche hanno un filo conduttore che le unisce. Non si definisce regista ma autore. Durante la prima intervista che gli feci, mi disse che non aveva mai avuto l’esigenza di fare il regista con sciarpa e cappello e dire “Azione!” facendo ovviamente riferimento a chi ostenta il proprio lavoro ma manifestò di aver scelto un altro mezzo di espressione per comunicare quello che in realtà aveva già iniziato a fare con la musica e la pittura: la ricerca della propria esistenza che inevitabilmente pone spunti di riflessione universali. Ha scelto di fare cinema perché lo ha ritenuto l’unico modo per comunicare agli altri la bellezza dell’esistenza.

Quali sono stati i suoi riferimenti?

Più che di riferimenti precisi per quanto riguarda Battiato si può parlare di approccio alla vita. Lui stesso si è definito onnivoro ovvero una persona estremamente curiosa con una natura che ha bisogno di capire da varie fonti. La sintesi della sua ricerca è proprio l’apertura verso qualsiasi influenza in linea con la sua strada. Ha studiato ad esempio induismo, sufismo, buddismo, cristianesimo per andare oltre la sfera materiale. Ha portato avanti un percorso che ha come filo conduttore la spiritualità per avvicinarsi alla propria personalità. Dal punto di vista cinematografico ha avuto dei punti di contatto con maestri come De Oliveira, Bunüel e ha condiviso certi aspetti del lavoro di Roberto Rossellini. Nel mio saggio ho analizzato proprio l’aspetto didattico dei suoi film paragonandolo all’ultimo periodo di questo altro grande regista cosa che aveva notato anche Enrico Ghezzi. Una precisa volontà dunque di allontanarsi dal genere di film commerciale, cinema di industria, cinema di evasione finalizzato al guadagno con pochi spunti di riflessione e storie ricche di stereotipi e luoghi comuni (l’attore o l’attrice del momento, violenza, scene sessuali ecc.).

Il suo esordio avviene nel 2003 con Perduto amor, primo capitolo della Trilogia spirituale (Musikanten, Niente è come sembra). Tre film legati tra loro “dalla fissazione di voler parlare di eccellenza in un mondo che va ovunque tranne che da quella parte”, dichiarerà Battiato in un’intervista. Analizzaci in breve le tre pellicole.

Il primo film Perduto amor è una biografia non dichiarata in cui Battiato si concentra sulla figura del suo alter ego il protagonista Ettore Corvaja interpretato dall’attore Corrado Fortuna che intraprende un personalissimo percorso di crescita e formazione umana a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sarà alla ricerca di una sua dimensione personale e spirituale e attraverso varie esperienze che lo porteranno dalla Sicilia a Milano, ritornerà con una consapevolezza maggiore nuovamente nella terra d’origine. Questo percorso spirituale viene approfondito nel secondo film Musikanten che affronta l’ultimo periodo di vita del grande musicista Ludwig Van Beethoven interpretato dal drammaturgo, regista, attore, compositore e scrittore Alejandro Jodorowsky; attraverso un’esperienza di ipnosi regressiva della protagonista (Sonia Bergamasco) conosciamo la personalità spigolosa, sofferente e geniale del grande compositore. La sua voglia di comporre, ostacolato da una società che non lo comprende e dalle sue dissonanze interiori (l’aggravarsi della sua malattia), lo porterà a riconoscere la vera essenza della vita e della sua musica che si eleva a Dio. Nell’ultimo film Niente è come sembra il protagonista è un professore ateo di Antropologia culturale interpretato da Giulio Brogi. Appassionato di feste etnico-popolari, durante un viaggio per documentare una festa del fuoco di origini pre-cristiane si smarrisce in un bosco e viene accolto in una casa dove conosce alcune persone che gli mostreranno la via della spiritualità. I tre film possono essere considerati una metafora della vita: Perduto amor presenta l’attaccamento alla propria terra, il richiamo alle origini ma allo stesso tempo un desiderio di evasione, un’attrazione verso “l’Alto”; Musikanten rappresenta il viaggio, la scoperta di una precisa eccellenza umana, Beethoven che con la sua Arte si allontana dal “basso” che lo circonda; Niente è come sembra presenta un’altra realtà che attrae Ettore in Perduto amor e di cui parla Beethoven in Musikanten.

Il suo percorso dietro la macchina da presa continuerà con diversi documentari tra cui Attraversare il bardo (2015) una coinvolgente riflessione sul senso dell’esistenza e sul tema della morte nelle diverse tradizioni spirituali d’Oriente e d’Occidente. Cosa significa “attraversare il bardo”?

Il bardo secondo la tradizione buddista è una condizione di transizione, è il passaggio dalla morte ad un’altra vita legato da un’energia sottilissima. Il Buddismo tibetano teorizza il bardo in base al cambiamento degli stati di coscienza. Il testo fondamentale che spiega le varie fasi è il Bardo Todhӧl – Il libro tibetano dei morti. Attraversare il bardo significa quindi la condizione della mente dopo la morte, lo stato intermedio quando la coscienza viene separata dal corpo.  Per quanto riguarda la durata della transizione, alcuni ritengono che ci vogliano 7 giorni, altri dicono che il Bardo duri un tempo variabile a seconda delle circostanze ma l’ipotesi più accettata è quella di una durata di 49 giorni. Il documentario di Battiato è la testimonianza di come menti affini pur appartenendo a campi apparentemente lontani come la scienza e la mistica, possano percepire la morte come continuazione e gioia. Vengono riportate testimonianze di studi ed esperienze reali. La morte viene vista come trasformazione, un continuo ritorno (reincarnazione). È affascinante l’opportunità offerta da questo prezioso documentario che presenta la morte sotto una veste serena senza sensi di colpa, angoscia e paura. Offre un altro punto di vista che è alla base della filosofia buddista, la morte che ci viene incontro non per eliminarci ma trasformarci. Un grande esempio di amore e compassione.

Franco Battiato è stato anche attore: appare nell’horror erotico italiano di Corrado Farina Baba Jaga (1973)e in Padre (2016) di Giada Colagrande accanto a Willem Dafoe e Marina Abramovic. Nell’immaginario collettivo però l’associazione dell’artista al cinema è riconducibile soprattutto all’utilizzo della sua musica all’interno di molti film diretti da registi italiani e non  da Nanni Moretti passando per Luca Guadagnino fino a Emma Dante, Giovanni Veronesi  e Alfonso Cuarón. Qual è stato il suo rapporto tra cinema e musica?

Riporto una sua frase citata nel mio saggio (pag.91): “Un film senza musica è come una canzone senza parole, è mancante”. Da autore e compositore non può quindi trascurare all’interno delle sue opere ogni forma di musicalità. Anche la composizione filmica ha un suono intrinseco dato dalle parole, dagli accenti, dai movimenti. Nel mio saggio analizzo proprio la musicalità della sceneggiatura soprattutto in Niente è come sembra dove la musica è quasi inesistente. Nei suoi tre film si avvale soprattutto di musiche scritte da altri autori. Durante la nostra chiacchierata, mi disse che si era divertito a scritturare altri artisti soprattutto del passato. Una scelta singolare è proprio quella della presenza della musica già nei titoli dei film. Perduto amor è il titolo di una canzone di Salvatore Adamo del 1964; Musikanten fa riferimento ai musicanti del documentario girato dai due protagonisti del film; Niente è come sembra è il titolo del suo terzo film e del suo brano inserito nell’album Il Vuoto del 2007. Fondamentalmente la musica diventa nei suoi film funzionale al racconto; in certi casi diventa proprio un personaggio che fa da commento alla vicenda. Anche il ritmo a proposito di musica, ha un ruolo importante. Ritmo scandito da un montaggio che ho definito dialettico in base alla teoria di Ejzenstein ovvero delle inquadrature singole che “parlano da sole” cioè danno una percezione atemporale e una non collocabilità dei personaggi nello spazio. Potrebbero stare ovunque e si capisce solo alla fine che si trovano tutti insieme in una stanza.

Che strumentazione ha utilizzato Battiato per girare i suoi film?

Da grande sperimentatore si è divertito ad osare, mischiare e accostare linguaggi diversi nella musica utilizzando il pop e citazioni colte del mondo classico. Nel mio saggio faccio riferimento a brani come Voglio vederti danzare costruito su un valzer che inserisce alla fine o in Casta Diva campionando la voce di Maria Callas nel brano a lei dedicato. Allo stesso modo utilizza differenti tecniche cinematografiche per una stessa inquadratura. Questo dimostra la sua grande coerenza metodologica. Per quanto riguarda la parte tecnica ha ribadito durante la nostra chiacchierata che è un aspetto risolvibile in poche ore dato che la ripresa è funzionale al messaggio che vuoi esprimere, diventa estremamente soggettiva. Ha alternato soprattutto in Musikanten la macchina da presa, inquadrature ad alta definizione alla telecamera – lipstick dalla forma di un rossetto appunto che gli ha permesso di ottenere delle immagini più ravvicinate quasi rarefatte per entrare a livello sintattico nella psiche del personaggio. Ci sono anche scene di autoripresa, la macchina da presa è attaccata all’attore ad esempio in Niente e come sembra mentre il protagonista Giulio Brogi si trova sulle scale mobili. Durante le riprese scoraggiarono l’uso sperimentale della lipstick, considerando la scelta troppo azzardata ma Battiato seguendo la sua indole, decise di andare avanti e alla fine tutti gli diedero ragione: effettivamente la resa finale è molto più suggestiva. Ho riportato nel mio saggio altri aneddoti che mi raccontò, legati proprio alla sua concezione tecnica della ripresa.

Cosa aveva Battiato ai tuoi occhi che gli altri non avevano?

Questa domanda è stata fondamentale per me, perché mi ha posto nella condizione di dover riflettere sulla scelta che si fa quando ci si avvicina alla musica. Da bambina, visto che lo ascolto da quando avevo 8 anni, mi ha divertito ma se dovessi trovare una motivazione costante legata anche a quel periodo, è stata la possibilità di centrarmi. Ovviamente quando si è piccoli la musica ci raggiunge a livello inconscio, da grandi si pratica una scelta. Battiato si sceglie, non si subisce come molta musica che ci viene continuamente proposta per cercare di omologarci. Sono infiniti i prodotti commerciali italiani e stranieri tutti uguali nella melodia, nell’armonia e nei temi ma di Arte c’è veramente molto poco, nella maggior parte dei casi durano una stagione. Battiato per me ha rappresentato le fasi della vita che si trasformano continuamente. La mia evoluzione come persona ha costantemente avuto la sua evoluzione artistica come colonna sonora. Credo che questa dinamica sia nata dal fatto che Battiato abbia sempre lavorato su aspetti più profondi dell’essere umano attraverso la musica, la pittura e il cinema. La chiamo predisposizione… Se ognuno di noi cercasse oltre all’evasione anche una possibilità di riflessione grazie all’Arte pretenderebbe non un semplice prodotto di consumo ma soprattutto qualcosa che rispecchi la propria ricerca. Direi proprio che Battiato a differenza di altri mi abbia insegnato la serietà e l’importanza del prodotto artistico.

Un ricordo personale di Franco Battiato?

Mi ha confermato che il suo percorso interiore è stato realmente in linea con la sua produzione artistica. Non c’è separazione tra l’uomo e l’Artista, era ed è autentico. Averlo conosciuto non mi ha deluso come purtroppo è capitato avendo incontrato altre persone che fanno questo lavoro. Mi ha accolto e ascoltato sempre con attenzione. Era estremamente curioso, ogni incontro con lui portava ad un confronto. Era un’anima gentile e protettiva (ricordo che andammo insieme ad una mostra di quadri e ad un certo punto non mi vide più tra la gente e chiese ad alta voce con aria preoccupata: “ma Graziana dov’è?” e io sbucai dietro le persone che nel frattempo lo avevano circondato).  Aveva un profondo senso dell’ironia mentre si chiacchierava tirava fuori barzellette o proverbi in siciliano. Manca tanto Franco, manca la sua lucida chiave di lettura della vita e della morte che però grazie alle sue opere può tornare ancora.

Copyright immagine libro: Graziana Di Biase

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