Due anime solitarie e infelici si incontrano in una delle metropoli più grandi e scintillanti al mondo, Bob Harris (Bill Murray), attore americano in piena crisi di mezza età ingaggiato per girare la pubblicità di una marca di whiskey, e Charlotte (Scarlett Johansson), una giovane donna che accompagna il marito fotografo in un viaggio di lavoro, incrociano i loro destini, seppure per pochissimo tempo, innamorandosi l’uno dell’altra per le strade di Tokyo.
Lost in Translation, vincitore di tre Golden Globe e un premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale, è un film del 2003 di Sofia Coppola, letteralmente “perso nella traduzione” o “l’amore tradotto”, in riferimento all’ambientazione dei protagonisti nella terra giapponese e alla traduzione dei pensieri in parole parlando una lingua sconosciuta, è un vero e proprio viaggio in cui lo spettatore si perde insieme ai protagonisti nell’affascinante e ipnotica “follia” della capitale nipponica, tra insegne al neon, locali notturni, strade affollate e location romantiche, le vicende del film si svolgono infatti per la maggior parte nei quartieri di Shinjuku e Shubuya, fra i più vivaci e colorati della megalopoli giapponese.
Il film si apre sulla finestra di una camera del Park Hyatt, in cima alla Shinjuku Tower, un hotel a cinque stelle dove Scarlett Johansson osserva Tokyo con le sue luci notturne, poi esattamente al cinquantaduesimo piano, dove si trova il New York Bar, ristorante con vista mozzafiato di Tokyo illuminata, i due protagonisti incrociano per la prima volta i loro sguardi, un incontro che darà vita a un desiderio di fuga, mettendo entrambi al cospetto delle proprie emozioni e contraddizioni più profonde. Una volta lasciata la torre, Charlotte e Bob si tuffano nella magia della città: il quartiere a luci rosse di Kabukicho, un regno fatto di luci al neon, attraversano lo “Shibuya Crossing”, comunemente considerato l’incrocio più affollato del mondo, con alle spalle il Karaoke Kan, location di una delle sequenze più indimenticabili del film, quella in cui Scarlett Johansson canta Brass in Pockets dei Pretenders e Murray invece prova a intonare More than This di Bryan Ferry per poi tornare in albergo mentre si intravede il Rainbow Bridge, il ponte dalle luci colorate di Tokyo. Al ristorante Shabuzen del Creston Hotel, Bob e Charlotte scoprono che per mangiare il piatto devono cuocersi la carne da soli, mentre la stazione Nekano-sakaue condurrà Charlotte verso il Joganji, un piccolo tempio zen nella zona di Nishi-Shinjuku, dove si ferma per contemplarlo mentre piove.
Lost in Translation, film introspettivo, profondo e anti romantico, ci porta alla scoperta di Tokyo, la città “dove tutti gli incontri sono possibili, dove la tua vita può cambiare”, una metropoli gigantesca divisa tra l’ultra modernità dei neon e la tradizione, una visita che può essere disorientante per le sue contraddizioni e che racconta la storia di un’amicizia particolare in cui l’incertezza di Bob e l’irrequietezza di Charlotte sottolineano una sensazione di smarrimento nelle strade di una Tokyo affascinante quanto misteriosa dove le loro solitudini si uniscono in un amore platonico che non avrà un futuro ma che lascerà un bel ricordo nelle loro vite.
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