A cinquant’anni dall’attentato alla Questura di Milano, avvenuto il 17 maggio 1973, la giornalista e scrittrice de Il Fatto Quotidiano, ricostruisce, nel suo ultimo lavoro, la vicenda che ruota intorno all’attentato a Mariano Rumor e al golpe progettato per quell’estate.
È la mattina del 17 maggio 1973 quando, nel corso di un attentato alla sede della Questura di Milano, dove si commemorava il primo anniversario dell’omicidio Calabresi, quattro persone perdono la vita e oltre quaranta rimangono ferite. Obiettivo mancato dell’attentato è il ministro dell’Interno Mariano Rumor. L’episodio terroristico, tra i più violenti del momento, è avvolto fin da subito dal mistero. A cinquant’anni dai fatti, la giornalista Stefania Limiti, con un accurato lavoro di indagine, ricostruisce nel libro L’estate del golpe. 1973, l’attentato a Mariano Rumor, Gladio, i fascisti, tra Piazza Fontana e il compromesso storico (Chiarelettere), tutta la vicenda che ruota intorno alla strage della Questura di Milano e al golpe progettato per quell’estate. E restituisce alla coscienza collettiva un pezzo di storia del nostro Paese, un altro “capitolo misconosciuto” della strategia della tensione che il tempo non può e non deve cancellare.
Da anni è impegnata nella ricostruzione dei criminosi intrecci che hanno insanguinato la nostra storia recente. Assumono particolare rilievo le pubblicazioni L’anello della Repubblica (2009), La strategia dell’inganno. 1992-93. Le bombe, i tentati golpe, la guerra psicologica in Italia (2017), Potere occulto. Dal fascismo alle stragi di mafia la lunga storia criminale dell’Italia (2022). Cosa accadde esattamente il 17 maggio 1973 alla Questura di Milano?
Il 17 maggio 1973 si tenne – presso la Questura di Milano e alla presenza del Ministro dell’Interno, on. Mariano Rumor – la cerimonia commemorativa del primo anniversario della morte del commissario Luigi Calabresi, freddato, un anno prima, sotto casa con due colpi di pistola da un killer a volto scoperto perché ritenuto responsabile della morte di Giuseppe Pinelli – indagato per la strage di Piazza Fontana. Verso le 11.00, al termine della cerimonia, un uomo scagliò una bomba a mano “ananas”, di provenienza israeliana, che uccise quattro persone e ferendone oltre quaranta. L’attentatore venne immediatamente immobilizzato ed arrestato: si trattava di Gianfranco Bertoli. Gli intenti erano quello di “punire” il ministro Rumor per aver rifiutato di firmare lo stato d’assedio nelle ore successive alla bomba nel salone centrale della Banca nazionale dell’Agricoltura di Milano il 12 dicembre 1969.Non è uno scherzo attentare alla vita di un politico di tale rilevanza, e quasi riuscirci. Rumor, un democristiano di Vicenza, ministro dell’interno in quel momento, fu Presidente del Consiglio durante la maledetta strage di Piazza Fontana e per breve tempo anche segretario del partito. Era un “uomo di mondo” come lo può essere un democristiano in quegli anni. E’ stato un attacco al cuore dello Stato. Un attentato parzialmente riuscito che ha provocato la morte e il ferimento di persone innocenti.
Chi era Gianfranco Bertoli?
Bertoli era uno stragista con una tempra fragile ma con una personalità da esaltato, rientrato in Italia dopo un periodo passato in un kibbutz israeliano. La sua vita, prima del 17 maggio 1973, è confusa e contraddittoria, piena di bravate, risse, pestaggi, piccoli furti insieme a qualche giovane teppistello. Entra ed esce dal carcere, svolge lavoretti saltuari. Una persona dal grande impegno politico, che si dichiara anarchico e seguace delle teorie di Max Stirner. Quando viene bloccato è nervoso ed esaltato, grida forte: “Viva Pinelli, viva l’anarchia!”. Bertoli vuole vendicare la morte “non accidentale” del compagno anarchico Giuseppe Pinelli, durante il fermo di polizia seguito alla strage di Piazza Fontana. In realtà il killer non vuole affatto farsi riconoscere, vuole passare per quel che non è: si dichiara anarchico, invece è un neofascista. Bertoli era un uomo fragile e non di certo un esempio di equilibrio psichico e fisico. Era la persona giusta anche se fa fallire l’attentato in senso politico. Tuttavia questa situazione non scoraggiò i suoi ispiratori perché avevano tutte le intenzioni di andare avanti con i loro piani.
Quali piani?
Dietro il progetto affidato a Bertoli, e dietro l’attentato eseguito da Nico Azzi (ordinovista e, fino al 1971, iscritto all’MSI) anch’esso naufragato per manifesta incapacità dell’attentatore, lavoravano attivamente tre gruppi paramilitari: la Rosa dei venti, il Movimento di azione rivoluzionaria e Ordine nuovo. Avevano architettato un piano ben più vasto, incentrato su gravi azioni di terrorismo in luoghi molto affollati (stazioni, piazze, uffici) e un progetto golpista da consumarsi nella primavera – estate del 1973. Grazie al materiale raccolto dalle inchieste giudiziarie possiamo delineare la ramificazione delle organizzazioni eversive: elementi legati all’estrema destra, ufficiali dell’esercito, esponenti della massoneria e della criminalità mafiosa.
Quali erano i loro obiettivi?
Le organizzazioni eversive di estrema destra sviluppatesi tra il 1969 e il 1974, mediante disordini e attentati, intendevano ostacolare il processo di democratizzazione del Paese.Lo stesso contesto internazionale contribuiva, inoltre, ad aumentare la tensione. Nell’autunno del 1973, con tre articoli pubblicati dalla rivista Rinascita il segretario del Pci Enrico Berlinguer, analizzando la situazione italiana dopo i fatti del Cile, gettò le basi di quello che passerà alla storia come “compromesso storico” in cui proponeva una collaborazione di governo tra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista con quelle di ispirazione cattolico-democratica (DC). In sostanza, si accettava che gli Usa non avrebbero permesso una modifica degli equilibri geopolitici di Yalta. Nonostante il fallimento dell’operazione, l’obiettivo del golpe, andò a segno comunque, cinque anni dopo, con il delitto Moro.
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