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LA STORIA DI SORAYA DI PERSIA, “LA PRINCIPESSA DAGLI OCCHI TRISTI”

La bufera di neve su Teheran ha ghiacciato persino le fontane, quel 12 febbraio del 1951.

Si sta per celebrare uno dei matrimoni reali più principeschi e assieme carichi di funesti auspici della storia del Novecento, quello tra lo scià di Persia  Mohammad Reza Pahlavi e Sorāyā Esfandiyāri Bakhtiyāri, la figlia dell’ambasciatore iraniano dell’allora Repubblica Federale Tedesca Khalil Esfandiari Bakhtiyari.

Tutto sembra davvero preparato come una una fiaba del deserto, con candelabri scintillanti e cesti di orchidee, lillà e ciliegi in fiore sparsi nella gigantesca stanza.

Lo sposo 32enne, il “re dei re” come viene definito in Oriente, veste in alta uniforme ricamata d’oro e d’argento e con appese al petto una decina di medaglie, la sposa è invece un pallido colibrì di 18 anni appena compiuti che, ancora convalescente dopo una febbre tifoidea, pesa solo quaranta chili ed è costretta a portarsi addosso un vestito firmato Dior di venti chili in più, un tripudio di balze e tulle che lo stesso scià, subito dopo la cerimonia, farà tagliare da una dama con le forbici.

Eppure la cerimonia nunziale si carica di tristi presagi.

In primis il gesto della perfida Taj ol Molouk, la madre di Reza, che passa alle spalle degli sposi spargendo granelli di zucchero sulla loro testa e benedicendoli sinistramente:

“Che la vostra unione sia dolce, di zucchero i vostri pensieri.”

Secondo la tradizione persiana a lanciare coriandoli e monetine sugli sposi come augurio di letizia e prosperità dovrebbe essere una donna appagata, tutto il contrario della madre dello scià, abbandonata dal marito e per giunta assai maligna.

Un altro capita durante il rito d’unione di fronte a un gigantesco specchio quando Soraya interrompe impunemente l’imam che recita la litania, desiderosa di pronunciare il suo sì prima del tempo.

A rassicurarla di questi foschi segni premonitori però c’è sempre l’amato Reza che tiene Soraya stretta a sé bisbigliandole in un orecchio:

“Da oggi siete imperatrice di un popolo di venti milioni di persone.”

Per Reza, figlio di un ex contadino colonnello dei cosacchi che con un gruppo di rivoluzionari aveva detronizzato il sovrano della dinastia Kadjar e si era proclamato scià-in-scià, non è il primo matrimonio.

A vent’anni ha infatti già contratto nozze dinastiche con Fawzia, sorella di Faruk d’Egitto, poi lasciata dieci anni dopo su volere di suo padre perché capace di generargli soltanto un’inutile figlia femmina.

Soraya è invece ancora un fiore etereo e bellissimo.

Nata a Isfahan ma cresciuta nei collegi per signorine di Losanna e Montreaux, la ragazza dagli occhi verdi (presi dalla madre tedesca) e dalla pelle di latte vorrebbe fare diventare l’attrice come Arletty e Mirna Loy ma sa che già di essere destinata come ogni figlia najib, (onesta) a un matrimonio combinato.

Questo matrimonio tra l’imperatore Reza e la figlia di Kalil Bekhtiari ha ragioni politiche importanti: quella di mettere pace tre le ricche tribù persiane posseditrici dei più vasti territori di petrolio iraniano e il nuovo scià.

È  la principessa Charms detta a corte La Pantera Nera, la sorella di Reza, a preparare Soraya per il primo incontro con Reza, insegnandole a fare l’inchino e a scegliere i migliori vestiti negli atelier d’alta moda a Parigi. Le confida che il fratello è un uomo che ha vissuto all’ombra del padre, che è timido e dolce e già arde di desiderio per lei. E mai Soraya avrebbe immaginato che a bruciare di passione, incontrando Reza dagli occhi scuri e intensi, sarebbe stata anche lei, così come invece succede.

Le nozze, organizzate in un primo momento subito per l’urgenza di dare allo scià l’agognato erede maschio, saranno rimandate di due settimane a causa della salmonellosi contratta dalla sposa la quale per alcuni è invece stata avvelenata dalla sorella gemella dello scià Ashaf, intimorita di perdere la sua influenza sul fratello.

Nei due anni successivi al matrimonio, Reza e Soraya non potrebbero essere più innamorati di così. Si dedicano poesie di Verlaine e fanno l’amore in ogni angolo del palazzo. Ma la giovane imperatrice non riesce a restare incinta.

Vengono consultati medici e fattucchiere turche ma nessuno è in grado di risolvere il problema della sterilità di Soraya che, dal canto suo, si lascia andare in uno stato depressivo irrisolvibile. A corte non parla quasi più a voce alta, piange senza motivo e quei suoi occhi verdi, esaltati da una magrezza sempre più preoccupante, diventano così grandi e cupi da essere soprannominata dai rotocalchi “La principessa dagli occhi tristi”.

Pur di non essere costretto a lasciare il suo grande amore a causa della mancanza di un figlio, Reza è pronto ad abdicare in favore di suo fratello ma Alì perde la vita in un incidente aereo, proprio quando è in volo verso Teheran per il compleanno dello scià.

Dopo sette anni la mancanza dell’erede maschio, allora, spinge l’innamoratissimo imperatore alla più difficile delle scelte: ripudiare la sterile Soraya.

Si abbracciano in lacrime per l’ultima volta in aereoporto, lei diretta a Saint Moritz come una ricca ereditiera qualsiasi, lui già promesso sposo di Farah Diba, la studentessa di architettura che di fatto resterà subito incinta di due figli maschi e due femmine.

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La Storia, poi, diventa più triste della principessa dagli occhi tristi Soraya, perché a causa di decisivi cambiamenti politici in Iran, Reza sarà costretto all’esilio, rendendo inutile quindi quel suo sacrificio di rinunciare all’amatissima moglie in cambio di un regno.

Soraya e Reza, come d’usanza iraniana, non si vedranno mai più visto che “con un divorzio finisce un legame“.

Durante gli anni della Dolce Vita romana lei si innamorerà di un giovane e sposatissimo regista palermitano, Franco Indovina, col quale, poco prima che lui muoia a soli 39 anni in un incidente aereo a Punta Raisi, gira un episodio del film “I tre volti“.

Nella pellicola Soraya appare ancora bellissima ma con già con la malinconia di chi sa che morirà da solo, Soraya dagli occhi tristi perseguitata da un destino avverso a causa di un amore così intenso da non permettersi di avere anche un lieto fine.

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