Philip Roth è stato uno degli scrittori più influenti a cavallo tra il Ventesimo e Ventunesimo secolo. Di origine ebraica, lo scrittore di Newark ha, fin dagli albori della sua carriera, parlato del proprio popolo e della propria cultura e di quanto fosse diversa da quella dominante.
In tutti i romanzi di Roth l’appartenenza alla cultura ebraica diviene fulcro e superamento della narrazione che si fa sempre più avulsa da spiritualismi di sorta, divenendo molto critica nei confronti di quella cultura con la quale ci si identifica, oppure no. La grandezza dei libri di Roth è proprio l’universalità di concetti che lo scrittore riesce a dare, ma anche nella particolarità delle situazioni, di volta in volta molto diverse.
Come libro per l’estate di questo fantastico scrittore statunitense, vogliamo consigliarvi di recuperare Indignazione, uno dei libri minuti dell’autore ma, sicuramente, molto ricco di significati che vanno al di là della narrazione stessa che egli ci propone.
Indignazione ci racconta la sopraffazione subita da un’intera generazione
Le prime pagine di Indignazione ci fanno immergere completamente nella vita di Marcus Messner, un giovanissimo ragazzo dalle meravigliose speranze nell’America del 1951. Marcus è figlio di una casalinga ebrea e di un macellaio kosher. È il miglior allievo del suo corso all’università di Newark e stima moltissimo i propri insegnanti laici che non impongono nessuno spiritualismo come indottrinamento accanto all’insegnamento delle materie classiche di ogni college statunitense.
Marcus è costretto a cambiare college e trasferirsi molto lontano dalla sua città natale nei pressi di New York, perché sopraffatto dall’oppressione senza senso del padre, preoccupato che il suo unico figlio potesse prendere una cattiva strada e diventare un criminale. A Marcus però non interessava fare la bella vita, interessava solamente studiare, laurearsi e occupare una posizione onorevole nella società.
Tutto questo, però a Marcus non sarà concesso poiché dovrà sempre combattere, così come i suoi coetanei contro gli stereotipi, di genere, di religione e status sociale.
Indignazione è una grande imprecazione contro l’America dell’epoca
Siamo, come abbiamo detto, a metà del Ventesimo secolo, nel 1951. La guerra era finita già da alcuni anni e la popolazione di origine ebraica stava cercando di ricostruire la propria appartenenza ad una cultura così tanto condannata e perseguitata. Nella ristretta realtà di Newark, dove il viaggio del protagonista inizia, i cittadini di origine ebraica erano molti e la comunità attorno al giovane protagonista era forte. Questo non lasciava scampo al protagonista, soffocato in una sorta di bolla di vetro, una prigione dove il padre era il suo aguzzino principale.
Dopo che Marcus andrà via dal Newark per trasferirsi nel suo nuovo college, lo troviamo in una condizione di particolare confusione, dove non riuscirà a trovar pace e vorrà solo concentrarsi sui propri studi, al contrario dei genitori e del rettore (opprimenti allegorie dello stato capitalista) che vorrebbero vederlo amichevole e propenso a fare nuove conoscenze e, soprattutto, a entrare in una delle più importanti confraternite della città.
Questa insistenza da parte dei suoi aguzzini, porteranno Marcus a uno dei più bei monologhi mai scritto negli ultimi tempi, dove il giovane vomita (letteralmente) addosso al rettore tutta la sua rabbia e frustrazione, in un turbinio di impressionanti collegamenti logico-filosofici ispirati dalla figura di Bertrand Russell. Questo sfogo è un grande “vaffa” che Roth ha scritto contro la società guerrafondaia e capitalistica propria di quel periodo storico. Un mondo in cui regole e principi morali sbandierati ai quattro venti servono a produrre carne da macello. Bestiame da inviare nelle trincee della Corea, dove il farsi fare a pezzi dalle baionette nemiche trova giustificazione nella filosofia della potenza dominante. Della menzogna spacciata per unica verità possibile, che vuole gli Stati Uniti e l’Occidente quali portatori unici del bene universale.
L’indignazione non è concessa
Leitmotiv di tutto il romanzo è la frustrazione da parte di Marcus che non può urlare ed esprime tutta la sua indignazione per un sistema scolastico e statale che non dovrebbero nemmeno poter portare quel nome. Marcus rifiuta la compagnia degli altri studenti e si rintana nella peggior stanza del college. Ma in tutto questo isolamento, gli accade lo stesso qualcosa di bello, di inaspettato. Grazie all’affascinante Olivia Hutton scopre le gioie del sesso, le tribolazioni e l’esaltazione dell’innamoramento. Ma anche lei, sebbene giovanissima, ha già una vita segnata.
Tutto è collegato a Marcus in un sistema di causa-effetto, ma l’unica decisione saggia che prenderà per non ricadere nelle grinfie del grande padrone, sarà la scelta irreversibile, quella che nessuno vorrebbe prendere ma che purtroppo porterà alla conclusione catartica di questa storia meravigliosamente scritta dal grande Philip Roth.
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