CULTURA

LA FOLLIA NELLA LETTERATURA: UN VIAGGIO DA DON CHISCIOTTE AD ENRICO IV

Il tema della follia ha affascinato letterati di ogni tempo.
Il poeta Omero, padre dell’Iliade e dell’Odissea, la considerava una malattia mentale scaturita da una punizione ricevuta dagli dei.
Platone, uno dei massimi rappresentanti della filosofia, scriveva nel suo Fedro: «La follia è tanto superiore alla sapienza in quanto la prima viene dagli dei, la seconda dagli uomini».
Per i Greci la follia assumeva quindi un duplice aspetto: da un lato malattia della mente, dall’altro potenziamento della personalità.

 

La nostra letteratura è ricca di personaggi affetti da follia, da Orlando a Don Chisciotte, da Enrico IV ad Humbert Humbert.

Scopriamoli insieme.

 

Orlando (Ludovico Ariosto, L’Orlando furioso, 1516)

Orlando, il paladino che, secondo la lunga tradizione iniziata nel Medioevo, incarnava il perfetto cavaliere cristiano, dedito alla religione, al re e alla patria, scopre che Angelica, la donna di cui è innamorato, ha sposato il guerriero saraceno Medoro.

Deluso, cadrà in uno stato di follia che gli farà dimenticare ogni regola e ogni principio.
Il suo senno verrà, invano, recuperato dal paladino Astolfo, che, accompagnato da S. Giovanni Evangelista, salirà fino al cielo della luna. Nonostante sulla luna ci siano le ampolle contenenti il senno che si perde sulla terra a causa di svariati problemi, l’unica cosa che non si troverà mai è la follia perché questa è irrecuperabile, propria della terra.

“Chi rimane immischiato nella passione amorosa, cerchi di tirarsene fuori prima di rimanerci immischiato; perché non troverà altro che follia, secondo l’universale giudizio dei sapienti; e se anche non si impazzisce come Orlando, la pazzia sarà comunque manifesta in altro modo. C’è forse un sintomo più evidente di pazzia che perdere sé stessi nella ricerca di altri?”.
“E vi son tutte l’occorrenze nostre, sol la pazzia non vi è poca, ne assai, ché sta qua giù, ne se ne parte mai”.

 

Don Chisciotte ( Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, 1605)

Protagonista del capolavoro di De Cervantes è un hidalgo spagnolo, Alonso Quijano, un uomo sulla cinquantina, dalla corporatura forte e robusta, appassionato di romanzi cavallereschi e delle gesta dei poemi eroici. Le sue letture viscerali lo trasportano in un mondo fantastico, nel quale si convince di essere chiamato a diventare un cavaliere errante.

Il suo viaggio per difendere i deboli e riparare i torti prende vita: Alonso diventa così il cavaliere don Chisciotte della Mancia e inizia a girare tutta la Spagna.
Nella sua follia, conduce con sé un contadino del posto, Sancho Panza, cui promette il governo di un’isola a patto che gli faccia da scudiero.
Come tutti i cavalieri erranti, Don Chisciotte dedicherà le sue imprese alla contadina Aldonza Lorenzo, che ribattezzerà Dulcinea del Toboso, facendola diventare una nobildonna.

La sua fanatica caparbietà lo porterà a vedere la realtà con occhi diversi.
Inizierà a combattere contro nemici immaginari: scambierà i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con demoni, le greggi di pecore con eserciti arabi. Perderà sempre suscitando l’ira delle persone che assistono alle sue folli gesta.
Don Chisciotte incarna l’uomo che si batte contro le convenzioni senza paura di essere sconfitto, indotto unicamente dai suoi grandi ideali.

 

“Si sprofondò tanto in quelle letture, che passava le notti dalla sera alla mattina, e i giorni dalla mattina alla sera, sempre a leggere; e così, a forza di dormir poco e di legger molto, gli si prosciugò talmente il cervello, che perse la ragione. Gli si riempì la fantasia di tutto quello che leggeva nei suoi libri: incanti, litigi, battaglie, sfide, ferite, dichiarazioni, amori, tempeste e stravaganze impossibili; e si ficcò talmente nella testa che tutto quell’arsenale di sogni e d’invenzioni lette nè libri fosse verità pura, che secondo lui non c’era nel mondo storia più certa.
E così perso ormai del tutto il cervello, gli venne il pensiero più stravagante che sia mai venuto a un pazzo; cioè gli parve opportuno e necessario, sia per accrescere il proprio onore, sia per servire il proprio paese, di farsi cavaliere errante, e d’andar per il mondo con le sue armi e il suo cavallo a cercare avventure… combattendo ogni sorta di sopruso ed esponendosi a prove pericolose, da cui potesse, dopo averle condotte a termine, acquistarsi fama immortale… e quindi sospinto da così radiosi pensieri… si affrettò a mandare ad effetto il suo desiderio”.

 

Enrico IV ( Luigi Pirandello, Enrico IV, 1922)

Un giovane aristocratico, durante una festa in costume nella quale è mascherato da Enrico IV, batte la testa cadendo da cavallo e diventa pazzo. Per dodici anni crede di essere il personaggio storico e i famigliari lo assecondano. Quando rinsavisce, scopre che la caduta è stata provocata dal rivale in amore Belcredi.
Dopo 20 anni, alla villa giungono gli stessi ospiti della festa in cui era avvenuto l’incidente.
Tra loro c’è anche Frida, la figlia della donna amata in passato, con il marito, un medico che vorrebbe guarire Enrico. Quando Enrico la vede (è identica a sua madre) impazzisce di nuovo e ferisce a morte Belcredi.
All’uomo non resta che accettare di vivere nella finzione, distaccato dalla vita e condannato all’incomunicabilità.

“Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia […] questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontari quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere […] Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! – Il guajo è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia. […] La mia vita è questa! Non è la vostra! – La vostra, in cui siete invecchiati, io non l’ho vissuta!”

 

Humbert Humbert (Vladimir Nabokov, Lolita, 1955)

Lolita,è la storia di un amore ossessivo, devastante, totalizzante tra un professore di letteratura francese e una ragazzina di 12 anni. Pur di averla Humbert compirà dei gesti ai limiti della legalità e ben oltre i limiti della morale degli anni Cinquanta: sposerà la madre di Lolita e alla sua morte diventerà patrigno della bambina.

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo un metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita”.

 

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