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INTERVISTA A SARA ANCOIS, AUTRICE DI “NORMALE E COMPLICATO” — OVVERO COME LA MENTE CI PROTEGGE DAGLI EFFETTI DEL DOLORE

Il lutto è un’esperienza “umana, troppo umana” che esige, in chi la vive, di affrontare con titanico coraggio le forche caudine di un tempo critico a seguito di una perdita lancinante e significativa. Nella storia illustrata “Normale e complicato” (Susalibri) la psicoterapeuta di orientamento sistemico-relazionale Sara Ancois è riuscita a fornire ai lettori grandi e piccini, con pastelli di parole e e i tratti poetici delle chine di Danilo Vivani, gli strumenti necessari per affrontare il proprio dolore affinché tutti possano tornare a ridisegnare fiori colorati sul terriccio bruciato dell’assenza.

Oggi l’abbiamo intervistata per voi.

Quando è nata l’idea di scrivere “Normale e complicato”?

Nel 2014 la mia famiglia è stata colpita da tre lutti piuttosto pesanti e, come ogni figlia unica, ho dovuto gestire tutto. I testi della parte illustrata li ho scritti per me, è la mia storia. In seguito, nel mio studio sono arrivati pazienti con esperienze di perdita alle spalle – diagnosi di malattia, relazioni naufragate, tracolli finanziari – che presentavano concordanze di vissuti interiori, sintomatologia psicosomatica, e tempi. Ho proposto i miei testi per un feed-back, loro ci si ritrovavano, e via via ho cominciato a utilizzarli per lavorare. Il libro è l’evoluzione di questo processo. Per renderlo il più completo possibile, e più aggiornato in termini neuroscientifici, mi sono ampiamente documentata. Ho inoltre realizzato un questionario e l’ho sottoposto a un campione di 100 persone dai 17 ai 75 anni che hanno subito una perdita, per arginare l’influenza distorcente della mia esperienza personale e per avere feed-back più numerosi. 100 intervistati non sono moltissimi, ma è comunque un target statisticamente significativo.

1. Inquadrare un Lutto come una forma depressiva può risultare inutile e dannoso. La persona finisce per vivere ulteriori fallimenti (“mi sono fatto venire la depressione, sono un caso disperato, nessuno può aiutarmi, starò sempre peggio”) e sentirsi colpevole (“non sono abbastanza forte” vs “che colpa ne ho, se mi è successo?”).

2. Spesso, anche l’invio ad un farmacologo (Psichiatra, Neurologo) serve a poco. Gli Studi suggeriscono che “la chimica” può poco contro angoscia e nostalgia (ovvero, il dolore legato al mancato ritorno di chi/cosa se n’è andato). Risultato: la persona si sente sempre più “malata” (“neanche la pastiglia funziona, sono irrecuperabile”.

3. Il dolore che consegue ad un evento di Perdita comporta, quasi sempre, la comparsa di sintomi somatici (percezioni dolorose di n.d.d., problematiche gastrointestinali, immunodepressione, cefalee, insonnia/ipersonnia, inappetenza/iperappetenza, etc..) oltre che psichici (alterazioni brusche del tono dell’umore/apatia, crisi di pianto/impossibilità al pianto, angoscia/anestesia, incubi, etc..) e la gente si spaventa. Va dal Medico, fa esami, la causa non si trova, e la paura cresce (“morirò” vs “ diventerò pazzo o forse, lo sono già”).

4. Il senso dell’adagio “le cose brutte vengono mai da sole” è che soffrire intensamente predispone a Traumi Secondari. Sono soprattutto questi, che possono ostacolare la normale elaborazione del Lutto (la persona si sente fragile, la realtà le rimanda che “non è più in grado di stare al mondo”, che non è più “forte come prima”) ed evolvere in Disturbo da Lutto Persistente e Complicato – diagnosi da Manuale D.S.M. che coincide, in breve, con un’esistenza intrappolata e cristallizzata nel dolore e nel passato. Qualche esempio di Trauma Secondario: raggiri (un amico della Polizia mi raccontava che i truffatori controllano i necrologi in cerca di gente obnubilata e di conseguenza meno accorta); delusioni/abbandoni relazionali; patologie di nuova insorgenza (legate all’immunodepressione, ad esempio); incidenti (d’auto, etc); comparsa di condotte d’abuso (cibo, alcol, droghe, ma anche shopping, internet, gioco d’azzardo, etc).

Sara Ancois

Coadiuvata dagli inchiostri di Danilo Viviani, lei ha inoltre creato la figura del “Signor Lutto”. Come è nato questo personaggio, e come mai ha prediletto l’uso della graphic novel?

Sara Ancois (Copyright immagine)

Nel periodo in cui lavoravo al libro, immaginavo il Lavoro del Lutto – il processo protettivo con il quale la nostra mente reagisce ai dolori intensi – come un Signor Lutto al Lavoro: all’opera, come ognuno di noi quando “si guadagna il pane”. Forse lo facevo per dissacrare, forse per ironizzare. Ho cominciato a scherzarci un pochino su, anche con i pazienti. Funzionava, era liberatorio. Quando ho conosciuto Danilo, gli ho descritto il personaggio cui pensavo e lui l’ha disegnato. Sostituire parole con immagini mi pareva necessario per due ragioni: perché un testo, per essere efficace, deve essere conciso, pregno, e al contempo sufficientemente aperto da poter “contenere” l’esperienza altrui; e perché non volevo essere io a parlare. Volevo dar voce al processo mentale, di modo che potesse instaurare un dialogo privato e diretto con la persona.

Nell’appendice del libro, lei spiega che dopo una perdita si susseguono diverse fasi che vanno, secondo il modello della psichiatra svizzera Elisabeth Kubler-Ross, dal rifiuto o negazione alla rabbia, dallo stadio del patteggiamento o contrattazione alla depressione e infine all’accettazione. Per scrivere “Normale e complicato”, come accennava, lei ha intervistato 100 persone che hanno attraversato la rielaborazione di un lutto in modo simile. Nelle risposte che le sono state fornite ci sono stati invece degli aspetti mutevoli e soggettivi che l’hanno particolarmente colpita?

Mi ha colpita la concordanza, al contrario, e il fatto che sia intra- e inter-culturale. L’esistenza di “denominatori comuni” nulla toglie all’unicità delle esperienze individuali: il “cosa” ci accomuna (forma), il “come” ci distingue (contenuto). Lei ha paura, s’innamora, prova gioie e dolori, esattamente come me. L’emozione è la stessa, mentre è personale ciò che la elicita e il modo in cui si esprime. La comunanza di “forme” permette agli esseri umani di comunicare sulle esperienze: se lei mi dicesse “ho paura” o “provo euforia”, io non avrei bisogno di sapere “perché” o di vedere “come lei lo dimostra”, per capire ciò di cui parla. Gli aspetti mutevoli e soggettivi sono variazioni sul tema, che ci rendono unici. Il tema in sé, ci rende Specie Umana. Ciò che più spesso varia nel processo di elaborazione di un Lutto è il quantum di risorse che la persona possiede, per far fronte all’esperienza dolorosa (risorse individuali, familiari, relazionali, culturali, economiche…). Quel che mi colpisce (sempre) sono l’onestà intellettuale e l’onestà emotiva, quando le incontro nei discorsi della gente: in mezzo a chi confonde le proprie fortune con virtù, c’è chi sa di partire in svantaggio (contestuale) ma riesce a tirar fuori risorse (individuali) stile “coniglio dal cappello”. Un po’ faccio il tifo per questi ultimi, voglio dirlo.

Non essendo possibile risarcire della Perdita subita, cosa posso concretamente offrire come Psicoterapeuta? I dati mi hanno risposto che: se la persona non era gravata in precedenza da disturbi psichici, e se il Medico aveva escluso la presenza di patologia organica (primaria, secondaria) potevo offrire:

Una diagnosi corretta: il periodo di Lutto che consegue ad una (qualunque) Perdita non è una malattia, e non è una psicopatologia. La sintomatologia psicosomatica avvertita dalla persona, seppure intensa, è da considerarsi reattiva. Ovvero, una reazione (sana) di corpo e mente all’esperienza dolorosa.

Una contestualizzazione: tale sintomatologia psicosomatica appartiene al Lutto, e non alla persona. Proprio come i puntini del morbillo, mi sono abituata a dire: appartengono al morbillo, mica a noi: quando lui se ne va, anche loro se ne vanno.

Informazione, così da rendere prevedibile ciò che accadrà e tranquillizzare: l’elaborazione del Lutto richiede tempo. Io la presento come una turbolenza atmosferica che si deve attraversare, anche se non ci piace, anche se non ci va. Come gli aerei durante una tempesta, come le barche sorprese da una burrasca. Mentre attraversiamo questa (maledetta) turbolenza, probabilmente incontreremo dei + a cui avvicinarci per stare meglio e dei – da cui allontanarci per non stare peggio (dove i + sono le risorse, ed i – sono i Traumi Secondari).

Il concetto (scientificamente basato) di auto-efficacia : non c’è cosa che dia più forza all’essere umano della sensazione di “potercela fare”, di essere “abbastanza”. La Letteratura Scientifica – penso agli studi di J. Bowlby, ma ce ne sono altri – indica l’esistenza di M.O.I. (Modelli Operativi Interni) che fanno parte dei Sistemi di Attaccamento e Perdita. Non voglio annoiarla, ma la Sistemica è una delle mie passioni. Detto brevemente – e detto male aggiungerebbero J. Bowlby ed i suoi collaboratori –  sembra che ognuno di noi nasca con una sorta di “libretto di istruzioni per salvaguardare la propria sopravvivenza sul Pianeta”.

Il concetto (scientificamente basato) di proporzionalità: non ci sono persone più o meno brave ad elaborare un Lutto. È l’intensità del dolore che varia, perché è direttamente proporzionale a quella del legame che si era stabilito con chi/ciò che s’è perduto.

Il concetto (scientificamente basato) di focus attentivo: le sofferenze profonde non intralciano il nostro funzionamento cognitivo, ma sovvertono le priorità. Indicano l’urgente cui dedicarsi nell’emergenza, e il loro Valore Biologico (ovvero il contributo evolutivo) sta nell’evitamento dei Traumi Secondari.     

Sara Ancois

Come definirebbe l’elaborazione di una perdita? Come un impegno da assumersi? Un esercizio della forza di volontà? Un sacrificio interiore?

Nessuna delle tre. Immagini di trovarsi su una scogliera, a un livello d’altezza non trascurabile, e che qualcuno (di simpaticissimo) le dia uno spintone e la faccia precipitare in acqua. Subire una perdita (di qualunque genere) è un po’ così. Si è impreparati, disorientati: fino a un momento prima si stava lì in pace, pensando ai fatti propri, e godendosi il mare. Quale sarebbe l’unico aspetto della vicenda che lei potrebbe “gestire”, precipitando? Predisporsi al miglior tuffo possibile cercando di fendere l’acqua, per minimizzare gli effetti dell’attrito. E passata la prima emergenza? Tenere gli occhi aperti, una volta in mare, per accorgersi di eventuali scogli e non sbatterci contro. È tutto qui. L’elaborazione di un Lutto è un evento emergenziale, dunque, non un impegno gravoso che possiamo scegliere di accollarci o no. E il Lavoro del Lutto è un processo mentale fisiologico, spontaneo, connaturato alla biologia dell’essere umano. Può immaginarlo come il “cugino” di alcune sensazioni/sesti sensi che di sicuro le è capitato di avvertire: “trova un riparo” quando peggiora il meteo; “mettiti in salvo” quando avverte un pericolo; “fuggi/attacca” quando avverte una minaccia… sono questi, semplificando moltissimo, alcuni dei Modelli Operativi Interni indagati da John Bowlby e altri studiosi. Se vuole, i M.O.I. sono dei consulenti. A me piace dire che sono bussole.

Come ritiene sia possibile sensibilizzare maggiormente gli operatori medico-sanitari, oggi, a sviluppare un’adeguata “Death Competence” ovvero una capacità di parlare della morte senza trattarla come un tabù o una patologia da rimuovere?

La “death competence” è qualcosa che pretendo solo dai miei colleghi. Credo che gli operatori medico-sanitari abbiano già un compito fondamentale e dai confini precisi: occuparsi di guarire il nostro corpo, quand’è malato. Non ho ancora subito un intervento chirurgico, ma so che mi affiderei più volentieri a chi si concentra esclusivamente sul mio organismo. I medici lavorano male se sono coinvolti emotivamente, e spesso cose come il riguardo, la sensibilità, la cura delle parole pronunciate sono lussi che non possono permettersi. In certe professioni, il distacco emotivo è uno strumento di lavoro. Di più: è un a-priori per riuscire a lavorare. Medici, infermieri e para-sanitari sono esseri umani come lei e me: quanto in fretta crede che cambierebbe il suo modo di pensare/parlare della morte, se lei lavorasse in ospedale e vedesse un cadavere quasi tutti i giorni? Devono difendersi. Questo non vuol dire che debbano riportare la notizia di un decesso senza rispetto per i familiari; ma non mi sento di pretendere “death competence” da chi per mestiere può salvarmi la vita. Pretendo “death competence” dai miei colleghi, invece, perché parlare delle cose infrangendo tabù, maneggiare argomenti ritenuti “scottanti” o “scomodi” dai più, è il mestiere che gli Psicologi – Psicoterapeuti hanno scelto. Siamo stati formati per farlo e per gestire le dinamiche di ritorno (ovvero, cosa succede alle persone, e tra le persone, quando questi argomenti sono urgenti ed emergenti). Inoltre, siamo stati formati per gestire ciò che accade in noi, per evitare che le risonanze personali inquinino il contesto professionale, e possiamo contare sulla Supervisione (un collega che ci monitora) se ne abbiamo bisogno. Una precisazione: per “colleghi formati” intendo tutti coloro che hanno seguito l’iter accademico previsto dalla Legge Italiana: 5 anni di Laurea, 1 anno di Tirocinio, Esame di Stato, iscrizione all’Albo degli Psicologi, 4 anni di Specializzazione, altro Tirocinio, iscrizione all’Albo degli Psicoterapeuti, percorso psicoterapeutico personale, più eventuali Master di approfondimento e aggiornamento (ce ne sono che riguardano la Death Competence). Tengo a sottolinearlo, perché l’esercizio abusivo della nostra professione è un fenomeno piuttosto esteso.

Ci sono romanzi che crede possano far compagnia a chi è nel pieno del maggese di una personale, solitaria elaborazione di un lutto prima di ritornare a fiorire?

Quella del “maggese” è una delle mie immagini preferite! Romanzi? Non saprei. Posso citarle gli ultimi che ho letto e che mi hanno “catturata”: Solo è il coraggio di Roberto Saviano; Una persona alla volta di Gino Strada; I Pazienti del dottor Garcia di Almudena Grandes; M di Antonio Scurati. Ma non c’entrano niente col Lutto. Un uomo mi ha detto, una volta, “non c’è persona che valga un buon libro”. Non sono d’accordo. Leggere mi piace ma, a chi è preda di una qualunque sofferenza intensa, auguro la compagnia di una persona in carne ed ossa. Un’amicizia con la A maiuscola, e/o un amore vero, o anche solo uno sconosciuto accudente. Alcuni libri mi sono piaciuti tanto, ma alcune persone mi sono piaciute di più. Ha presente, nel libro, quel disegno di Danilo Viviani coi personaggi che si affacciano alla porta? Sono persone reali: sono le amiche e gli amici dei miei tempi bui, e hanno saputo fare molto meglio di un libro. Anche di “Normale e complicato”.    

(Copyright immagine in evidenza)

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