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L’ARTE IN MOVIMENTO. I 5 NOMI PIÙ RIVOLUZIONARI DELLA PERFORMANCE ART

Una delle esperienze più importanti della Storia dell’Arte Contemporanea si sviluppa alla fine degli anni Cinquanta con l’accezione di Performance Art ovvero un’azione artistica che abbraccia una vasta gamma di sperimentazioni: dalla Body Art (l’auto-manipolazione del corpo da parte dell’artista), all’Action Painting (uno stile di pittura alla Jackson Pollock che enfatizza l’atto fisico della pittura stessa attraverso il colore che viene fatto gocciolare spontaneamente, lanciato o macchiato sulle tele, invece che applicato con attenzione), agli Happening (“azioni” che l’artista svolge esattamente nel luogo e nel momento in cui accadono, senza alcuna finzione, e che focalizzano l’attenzione dello spettatore ora sul gesto banale e quotidiano ora sulla simulazione di un evento drammatico, secondo il suo ideatore Allan Kaprow, con l’intento di promuovere il mutevole e la fuggevolezza dell’esistenza).

Jay Sanders (Copyright immagine)

Il pubblico non è quindi più, con le Performance Art, spettatore passivo ma attore dell’evento, di questa esperienza effimera ma autentica che lo fa sentire coinvolto nell’atto creativo, sia emotivamente che fisicamente.

Attraverso l’intervento diretto sulla realtà con l’eliminazione di ogni rapporto illusionistico di spazio e di tempo, il corpo, in queste forme espressive, è eloquente, cioè non solamente rivendica la sua presenza, le azioni plastiche del movimento, la dignità senza vergogna delle proprie imperfezioni ma diventa il narratore preciso della realtà nel quale è inserito e si relaziona.

Riportando, insomma, la definizione proposta da Willoughby Sharp nel 1970 sulla rivista d’Arte concettuale Avalanche, il corpo umano diventa «il soggetto e l’oggetto dell’opera stessa» (ed in merito vi consigliamo il saggio di Lea Vergine “Body Art e storie simili. Il corpo come linguaggio“,anche).

Gli influssi culturali che hanno condotto ad una rivalutazione del corpo risiedono nelle speculazioni filosofiche di Sartre e Heidegger, nel Surrealismo francese e nelle dissacrazioni inflitte al linguaggio tradizionale dell’Arte con Piero Manzoni e Marcel Duchamp il quale, ad esempio, appena decide nel 1921 di indossare il suo alter-ego femminile travestendosi da Rrose Sélavy, fa di se stesso una sorta di ready-made, utilizzando il suo corpo come contenitore di un’identità ambigua, assemblata e molteplice com’è di fatto la vita stessa.

 

I nomi di artisti che hanno operato nel campo della Performance Art si sprecano da Yoko Ono ad Ana Mendieta da Tino Segal al Gruppo Gutai, da Piero Manzoni  a Joseph Beuys,etc.

 

Ma chi sono i Cinque più importanti rappresentanti della Performance Art Contemporanea?

 

Marina Abramovic

 

Marina Ambramovic in Balkan Baroque, 1997 (Copyright immagine)

Marina Abramović è un’artista serba, naturalizzata statunitense attiva in campo artistico dagli anni Sessanta che si è auto-definita “Grandmother of performance Art”, per sottolineare la portata rivoluzionaria del suo modo di intendere la performance artistica.

Sono numerosissime le opere sovversive della Abramović, tanto che sarebbe impossibile menzionarle tutte.

Citiamo solamente la serie Rhythm 0 (1974) durante la quale l’artista rischia persino la vita quando, a Napoli, si alza in piedi al centro di una stanza in cui sono presenti vari oggetti (coltelli, piume, corde, forbici e persino una pistola) e spiega agli spettatori che per sei ore rimarrà immobile come un oggetto e ognuno avrebbe potuto fare di quel corpo ciò che desiderava. Dopo un paio di ore di titubanza, gli spettatori iniziano ad accanirsi sull’artista, in modo violento e incontrollato, tagliandone i vestiti e sminuzzandole la pelle, persino puntandole una pistola in testa. La performance voleva dimostrare che gli esseri umani, se sicuri dell’impunità, rischiano di dare sfogo alle peggiori fantasie sadiche.

Altra celebre performance di Marina Abramović è The artist is present, al Moma di New York nel 2010. La performance è durata tre mesi, durante i quali l’artista, vestita di un ampio abito, si è seduta ad un tavolo di fronte al quale era stata posta una sedia vuota. Su quella sedia può sedersi chiunque, per fissarla negli occhi e circa 750 sono le persone che hanno preso posto di fonte all’artista, lasciandola completamente inespressiva, come a significare che solamente il silenzio può essere lo spazio di mediazione tra l’artista e il suo pubblico.

Solo una persona è riuscita a smuovere l’immobilità dell’Abramovic facendola piangere, l’artista Ulay, suo ex compagno e collaboratore di tante famose performance art come The Lovers (1988), quando i due si recarono agli estremi opposti della Muraglia Cinese (Ulay parte dal deserto dei Goby, la Abramović dal Mar Giallo) e dopo una lunga camminata (2500 ck circa) si incontrarono a metà strada per abbracciarsi e dirsi addio.

Vito Acconci

L’artista italo-americano nato nel Bronx nel 1940, intraprende un percorso nella Performance Art usando il suo stesso corpo come soggetto di fotografie, film, video e performance.

L’opera più emblematica di questo artista è sicuramente Seedbed (15-29 Gennaio, 1971), realizzata alla Sonnabend Gallery, in cui il pubblico si trova in una stanza vuota con un pavimento di legno. Nascosto sotto le assi si trova coricato Acconci che incomincia a masturbarsi e a esprimere ad alta voce le sue fantasie erotiche che risuonano, tramite degli altoparlanti, in tutta la galleria.

Il senso della performance aveva una connotazione di liberazione e depurazione: il performer, che simboleggia il seminatore che vive circondato da rifiuti e che, versando il suo seme sulla terra contaminata dai rifiuti la libera dal male e la feconda apportando bene.

 

Joseph Beuys

Joseph Beuys, nato a Krefeld nel 1921, è un performer tedesco.

Nel 1943, durante la guerra, il suo aereo viene abbattuto in Crimea ma viene salvato da un gruppo di nomadi tartari che lo curano avvolgendolo nel grasso e in pelli di feltro, un’esperienza lo influenzerà profondamente, tanto da decidere di definirsi  “lo sciamano” dell’Arte.

Beuys ha usato, appunto, nelle sue performance tecniche sciamanitiche e psicoanalitiche per educare e guarire il pubblico.

Ad esempio in I like America and America likes me, la performance dell’artista tenutasi nel 1974, nella stanza della René Block Gallery, Beuys si fa portare nella galleria avvolto in un sacco di feltro. Qui inizia a condividere la stanza con un coyote per otto ore, nell’arco di tre giorni. Durante lo svolgimento della performance l’artista compie diverse azioni, a volte è fermo, altre appoggiato a un bastone, in altri casi prova ad interagire con il coyote, fissandolo o facendogli mordere la coperta in cui è avvolto. A questi gesti ne lega altri, più puramente simbolici, come colpire un grande triangolo.

Alla fine del terzo giorno Beyus abbraccia il coyote, che si è ormai abituato alla sua presenza, dopo di che si fa condurre su di un’ambulanza lasciando l’America, senza aver appoggiato piede a terra.

Lo scopo di questa performance dell’artista è stata quella di isolarsi, non vedendo altro dell’America oltre che il coyote. Meglio di essere presente alla visione della vera America prima che si chiamasse America. Il coyote, infatti, è un canide lupino indigeno del Nord America, un animale antico legato al folklore dei nativi americani e simboleggia le vere origini della terra americana.

 

John Cage

4′33″ (pronunciato dall’autore Quattro, trentatré oppure Quattro minuti, trentatré secondi) è una composizione del 1952 in tre movimenti del compositore sperimentale statunitense John Cage (1912-1992) per qualunque strumento musicale o ensemble.

Lo spartito della performance musicale di Cage dà istruzione all’esecutore di non suonare per tutta la durata del brano nei tre movimenti (tacet): il primo di 30 secondi, il secondo di 2 minuti e 23 secondi, il terzo di 1 minuto e 40 secondi; il totale dei secondi di silenzio, ossia 4 minuti e 33 secondi, come da titolo dell’opera.

Secondo Cage, 4’33” non è per nulla un’opera silenziosa, in quanto il vero centro di attenzione dovrebbero essere i rumori casuali che si sentono durante il silenzio dei musicisti, al pari di quelli dati dalla caduta di un oggetto, dal ronzio di un insetto o dal respirare degli spettatori. La durata particolare della composizione è probabilmente un riferimento allo zero assoluto: infatti, quattro minuti e trentatré secondi corrispondono a 273 secondi, e lo zero assoluto è posizionato a -273.15 °C, temperatura irraggiungibile, come il silenzio assoluto.

Gina Pane

Nata a Biarritz nel  1939 e morta precocemente a Parigi nel 1990 a causa di un cancro, quest’artista ha donato letteralmente tutto il proprio corpo all’Arte performativa.

In Azione sentimentale (1973), ad esempio, la Pane si presenta di fronte al suo pubblico esclusivamente femminile vestita di bianco, con un bouquet di rose rosse dal quale stacca le spine per conficcarsele in un braccio, come la sposa che, purificata attraverso il contrasto tra dolore e candore, adesso è libera di amare e farsi amare;

In Escalade non anesthésiéeinvece sale invece una scala con chiodi a piedi e mani nude, ferendosi inevitabilmente e ferirsi non è di certo un atto masochista ma diventa un modo per condividere con l’altro il proprio dolore.

Il sangue diventa elemento portante delle sue performance.

Provocarsi dolore è per Gina Pane come donarsi al suo pubblico, senza alcun tipo di intermezzi.

 

Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il mio sangue, è per amore vostro: l’altro.

 

Il corpo di questi artisti diventano, perciò, come un Cristo moderno, la cassa di risonanza dell’intera società contemporanea.

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