Caro John,
sono Tommaso, ho 43 anni e da almeno 15 lavoro nell’ambito della creatività. Non entrerò nel merito delle mie mansioni lavorative, ma voglio condividere con Lei la mia totale assenza di stimoli e direi quasi di rifiuto, pensando al mio lavoro. Il paradosso è che faccio esattamente ciò che mi piace.
La pandemia è stata dura per tutti e in alcuni casi è emersa la precarietà di un sistema lavorativo che tutela poco i lavoratori. Personalmente mi sono sentito costantemente in pericolo, senza alcuna certezza, non potendo inoltre contare su sussidi statali essendo costretto a lavorare con Partita Iva.
Quando esco di casa per andare a lavoro penso già che non vedo l’ora di rientrare e vedere la fine della giornata, sono sempre stremato, non riesco a concentrarmi e questo ha drasticamente diminuito la mia efficienza, ma anche la qualità del mio lavoro.
Non so come affrontare questa situazione, ma temo di essere arrivato al limite.
Caro Tommaso,
la tua condizione è comune a molti in questo periodo storico. Si tratta di sindrome da burnout.
Il burnout, parola di origine anglosassone che letteralmente significa esaurimento/crollo, dà in modo lampante idea di ciò di cui si sta parlando, ovvero una condizione di stress.
Stress legato al contesto lavorativo. Inizialmente veniva associata alle professioni sanitarie o di assistenzialismo, ora è un concetto esteso a qualsiasi professione.
Individuato il problema, il mio consiglio è quello di rivolgerti ad uno specialista per individuare insieme una possibile risoluzione.
È possibile approfondire l’argomento leggendo quest’intervista.
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