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DIETRO LE QUINTE DEL DISPACCIO DI TERSITE ROSSI: INTERVISTA AL COLLETTIVO DI SCRITTURA

Tersite Rossi (www.tersiterossi.it) è un collettivo di scrittura formato da Marco Niro, giornalista, e Mattia Maistri, insegnante. I due si conoscono nel 2006, quando Mattia contatta Marco per chiedergli di tenere un corso di giornalismo per ragazzi.

L’idea di scrivere un libro a quattro mani arriva l’anno successivo: Mattia decide di rispolverare un vecchio progetto narrativo e coinvolge Marco nella nuova stesura. Ne viene fuori il romanzo d’inchiesta È già sera, tutto è finito (Pendragon 2010) che dà ufficialmente avvio a una collaborazione proficua e duratura: a firma di Tersite Rossi vengono in seguito pubblicati, oltre a svariati articoli e racconti, i romanzi Sinistri (e/o 2012), I signori della Cenere (Pendragon 2016) e Gleba (Pendragon 2019).

Il nome del collettivo è un omaggio al prototipo omerico dell’antieroe, Tersite, e a quello dell’uomo qualunque, il signor Rossi. In linea con il suo pseudonimo, il collettivo si occupa prevalentemente di raccontare le «storie nascoste» degli antieroi contemporanei, ora costretti a fare i conti con le sconfitte della Storia che si intrecciano alle sconfitte personali, ora alle prese con le nuove forme del potere (e dei suoi abusi) in una società sempre più tecnocratica. 

Oggi abbiamo intervistato il collettivo di scrittura Tersite Rossi per voi:

(Copyright immagine: foto di Marco Parisi)

Partiamo dall’inizio. L’idea di intervistarvi nasce lo scorso dicembre quando avete presentato il vostro nuovo dispaccio. Rivelateci qualcosa in più di questo progetto, da quale esigenza comunicativa nasce?

L’idea ce l’ha data Chuck. Chuck Palahniuk. L’estate 2021 stava finendo e un giorno, in spiaggia, abbiamo letto che l’autore di Fight Club si stava preparando a lanciare la sua newsletter su Substack. Confessiamo che manco lo sapevamo, cosa fosse Substack. L’essere fan incalliti del vecchio Chuck ci ha indotti ad approfondire. Il funzionamento di Substack (un prodotto della Silicon Valley) è semplice. Qualunque scrittore può aprirvi gratuitamente un canale personale nel quale pubblicare i propri contenuti. Chi è interessato a leggere può iscriversi e ricevere i post per e-mail (gratis o a pagamento, dipende da cosa decide lo scrittore). Era proprio lo strumento che cercavamo. Sentivamo da tempo, infatti, il bisogno di rendere più stretto, solido e costante il rapporto con i nostri lettori. E di ritagliarci uno spazio sempre aperto, lontano dagli ordinari sussulti editoriali, inevitabilmente sporadici per chi, come noi, cucina a lungo i propri romanzi (ne abbiamo pubblicati “solo” quattro in dodici anni). Così abbiamo deciso di seguire l’esempio di Palahniuk (e di molti altri romanzieri, ma a quanto pare nessun italiano oltre a noi), dando vita a quello che abbiamo chiamato dispaccio e non newsletter, per amore della nostra lingua e del sapore antico che il vocabolo sprigiona.

Il vostro sodalizio letterario è ampiamente collaudato. Come siete riusciti in questi anni a conciliare l’evoluzione personale con quella del collettivo? E nel dispaccio come convivono le vostre due anime?

L’alchimia del nostro sodalizio ultradecennale resta tuttora piuttosto misteriosa anche per noi. La cosa certa è che nessuno dei due avrebbe mai iniziato a scrivere da solo, perché nessuno dei due avrebbe mai trovato, da solo, il coraggio e la costanza per farlo. Tersite Rossi, d’altra parte, ha due anime, affini ma diverse. Complementari, diciamo sempre. Una più romantica, l’altra più razionale. E anche il modo di scrivere non è lo stesso: uno è più lirico e piano, l’altro è più asciutto e ritmato. Poi, quando ci mettiamo a lavorare in due, ecco la magia: le differenze si smussano, le affinità si evidenziano, ed esce un unico testo, con una sola anima e un solo stile. Il dispaccio, essendo centrato su racconti brevi, che per definizione sono un prodotto più “solista”, richiede un equilibrio un po’ diverso da quello che abbiamo trovato coi romanzi. Ci stiamo lavorando, e se i lettori non se ne accorgono, e non se ne vanno, vuol dire che stiamo andando nella direzione giusta, che poi è sempre quella contraria.

Il dispaccio si articola in tre sezioni: “Storie diverse, storie nascoste ” raccoglie brevi testi narrativi; “Niente storie” contiene recensioni, segnalazioni e riflessioni varie; infine “Storie da ascoltare” si propone di ospitare contenuti audio. Partiamo dalla prima sezione: qual è il fil rouge che lega i vostri racconti?

Nel dispaccio pubblichiamo soprattutto storie, che sono la nostra ragion d’essere. Storie diverse, storie nascoste, appunto, come quelle che abbiamo sempre provato a raccontare nei nostri romanzi, che si trattasse di strategie della tensione, distopie tecnocratiche, signori della cenere o nuova gleba. Ma, a differenza di quelle raccontate nei romanzi, quelle del dispaccio sono, come detto, storie brevi, perché la lettura da web così richiede; e spesso a puntate, che è un modo per rinverdire una tradizione di grande fascino come quella del feuilleton. Da quando l’abbiamo aperto, il 4 ottobre 2021, il dispaccio ha ospitato undici racconti, per un totale di ventiquattro puntate (ad oggi, metà febbraio 2022). Abbiamo spaziato dal genere weird al fantascientifico, al distopico, fino alla narrativa d’inchiesta. Ma i personaggi che vi prendono vita restano tutti, chi più, chi meno, antieroi, talvolta brutti, talvolta deboli, talvolta codardi; e tutti stonano come il sacco di rifiuti nella dimora linda della pubblicità; tutti restano ombre che nessuno vede, perché sono arrivate troppo presto, o troppo tardi.

Avete precisato che siete aperti all’idea di pubblicare sul dispaccio anche racconti di altri autori, purché si tratti di «storie abbastanza nascoste». A quale tipo di immaginario vorreste dare spazio?

Vogliamo in effetti cercare l’interazione coi nostri lettori (diventati centinaia nel giro di pochi mesi), altrimenti sarebbe un rapporto aberrante, come quello tra padrone e servo, e a noi i padroni non piacciono, e i servi tanto meno. Vogliamo dare modo agli iscritti di mandarci in lettura le loro, di storie. E se saranno abbastanza diverse, abbastanza nascoste, le ospiteremo nel dispaccio. L’immaginario cui vogliamo dare spazio non ha confini di genere né di tema: l’unico paletto riguarda lo spirito, che vorremmo sempre iconoclasta, sempre ostile ai prevaricatori di tutte le latitudini e di tutte le fatte, sempre dalla parte dei prevaricati. Ci frulla in testa anche l’idea che siano i lettori stessi a giudicare i racconti inviati. Ci stiamo lavorando. Faremo le nostre chiamate, e aspetteremo le risposte.

Tecnocrazia e manipolazione sono temi che avevate già affrontato nei romanzi e che ora tornano sul dispaccio.

Anche il potere ha bisogno di raccontare storie. Gli servono per restare in piedi. E quasi sempre si tratta di storie false, manipolatorie. Nel nostro romanzo d’esordio, È già sera, tutto è finito, affrontammo il tema della strategia della tensione che ha funestato l’Italia da piazza Fontana alle bombe del 92-93, fino a Genova 2001: la storia falsa, in tal caso, è quella della democrazia, che in Italia non è mai esistita, tranne forse durante qualche brevissimo momento eccezionale. Un’altra storia forte raccontata dai potenti è quella della meritocrazia e della conoscenza tecnica super partes, che sarebbero i soli salvagente per non sprofondare nel pantano. Panzane. Buone a nascondere la realtà dei fatti: i tecnocrati conservano gelosamente un sapere sempre più complesso e indecifrabile, mentre il popolo deve restare ignorante, ed essere suo malgrado costretto ad assegnare ai primi il comando, senza capirci nulla. Questi aspetti li abbiamo denunciati in tutti i nostri romanzi, e continueremo a farlo anche attraverso i racconti brevi del dispaccio. Magari in modo meno strutturato, ma più tranchant.

Anche la pandemia è molto presente in questi racconti, in particolare in riferimento al modo in cui ha influito sui legami umani e sulla loro fisicità. La pandemia ha reso più ‘urgente’ la questione della sessuofobia?

Il tema è affrontato nel racconto intitolato L’amore al tempo delle pandemie, con taglio intimista. Prossimamente ne pubblicheremo uno intitolato Suonare solo per le piante, sempre sul tema, ma con taglio distopico. E poi uno intitolato Sesso, droga e… quarantena, con taglio ancora diverso, pulp. Sulla sessuofobia, poi, sebbene senza alcun collegamento col tema della pandemia, il dispaccio ha ospitato Il contatore delle scopate, un racconto che ci è costato la perdita di qualche lettore troppo… “sensibile”, per così dire (e, per fortuna, la conquista di molti altri). La sessuofobia l’abbiamo affrontata anche nel nostro secondo romanzo, Sinistri, che trova il suo filo rosso proprio nella contrapposizione fra sesso agito e sesso ludico, nonché nel nostro terzo, I Signori della Cenere, dove abbiamo evidenziato la nostra discendenza dai bonobo, scimmie che usano il sesso per appianare le divergenze sociali; una discendenza misconosciuta a favore di quella che parimenti abbiamo dallo scimpanzé, che invece ha un’indole aggressiva, e usa il sesso, al contrario, per consolidare gerarchie e comando. Dopo qualche milione di anni di storia evolutiva, siamo ancora qui a dover scegliere – e, sì, la pandemia ha reso ancora più drammatica la scelta – se essere più bonobo o più scimpanzé. Inutile dire dalla parte di quale delle due scimmie si posiziona Tersite Rossi…

Il vostro sguardo si sofferma anche sul modo in cui la pandemia ha accentuato i divari sociali, gravando ancora di più sulle spalle delle categorie in ombra, o come direste voi «nascoste», come quella dei migranti.

Ci siamo occupati della questione in un racconto che è stato fra i più apprezzati dai lettori del dispaccio, Come nei film, pubblicato l’ultimo dell’anno. Un racconto di Capodanno del tutto atipico, ambientato durante la notte di San Silvestro del 2020, quando tutti furono costretti a restarsene a casa per via delle misure anti-contagio; quella notte Ahmed, un immigrato sfruttato sul lavoro, e tristemente solo, vuole festeggiare a tutti i costi e, contro ogni regola, decide di andare in piazza a stappare lo spumante e a gridare buon anno; come nei film, appunto, anche se il suo non è un film, ma la dura realtà. Quello del lavoro sfruttato è oggi un tema cruciale, che bisogna affrontare con urgenza, a cui non a caso abbiamo dedicato un intero romanzo, il nostro quarto, Gleba. Negli ultimi trent’anni c’è stata una sbalorditiva regressione delle condizioni dei lavoratori, non solo quelli immigrati, ma tutti: si muore sul lavoro con le stesse modalità con cui si moriva cinquant’anni fa; si muore di profitto, come Luana D’Orazio e centinaia di altri che non hanno avuto la stessa attenzione mediatica. Ma non c’è reazione collettiva, o per lo meno non forte come la “guerra di classe dall’alto” portata avanti dai padroni richiederebbe. Al contrario, c’è fin troppo spazio per le guerre fra poveri, quelle buone solo a rendere i ricchi sempre più ricchi, e loro, i poveri, sempre più poveri. Che poi non sono loro, ma tutti noi: il famoso 99%. Nei due anni di pandemia, i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15.000 dollari al secondo; nello stesso periodo, si stima che 163 milioni di persone siano cadute in povertà, sopravvivendo con cinque dollari al giorno. Chiaro che non sarà la narrativa a invertire questa china preoccupante, ma noi quella sappiamo fare, e con quella proviamo a dare il nostro contributo.

Le questioni di attualità nei vostri scritti assumono sempre una fisionomia ben definita, e talvolta persino un volto: ad esempio quello di Giulio Regeni. Giulio è un post-eroe?

Il racconto intitolato “La brigata Giulio Regeni”, pubblicato sul dispaccio il 26 gennaio 2021, a sei anni dalla scomparsa di Giulio, è volutamente provocatorio. È uno sberleffo al potere. Se non puoi vincerlo, deridilo. Ed è anche un esempio di narrativa d’inchiesta, che si distingue dal giornalismo per il fatto che parte dalla realtà per andare oltre la stessa e caricarla di significato ulteriore; per entrare, con la lente della plausibilità, nelle stanze in cui nessun giornalista, o nessuno storico, potrebbe entrare, e far parlare i potenti che vi si muovono, smascherando la loro finzione; la narrativa d’inchiesta è in questo senso un modo per dare voce al sapere pasoliniano, quello senza le prove. Chiaro quindi che i protagonisti di questo tipo di narrativa, quelli che all’arroganza del potere si oppongono strenuamente, divengano automaticamente degli anti-eroi, ovvero coloro che, per quanto sappiano che la partita è truccata, decidono di giocarla lo stesso, e di perdere con metodo. Giornalisti come Giancarlo Siani, ad esempio, cui è vagamente ispirato il protagonista del nostro primo romanzo, o ricercatori come Giulio Regeni. A volte, invece, si tratta più semplicemente di post-eroi, ovvero coloro che nemmeno sanno di giocare una partita truccata, e rischiano persino di più, perché provano un disagio di cui non riescono a capire le origini, che non riescono a incanalare. In questo senso Giulio Regeni non è stato un post-eroe, ma senz’altro lo sono molti dei lavoratori egiziani il cui sfruttamento Giulio ha denunciato, pagando con la sua stessa vita.

Passiamo alla sezione dedicata a recensioni, segnalazioni e riflessioni. Qui si spazia dal mondo del cinema a quello della narrativa. E non solo: i primi due articoli ripercorrono la storia del collettivo.

Oltre ai racconti, il dispaccio ospita anche anteprime e retroscena su ciò a cui stiamo lavorando o abbiamo intenzione di lavorare; segnalazioni di libri o film che ci hanno particolarmente colpiti; pensieri in libertà, fuori binario, forse deliri. Cerchiamo di alternare con una certa regolarità le puntate dei racconti con questo altro tipo di contenuti, destinati alla sezione del dispaccio chiamata “Niente storie”, per quanto, in realtà, anch’essa ospiti nient’altro che storie, solo in forma non letteraria. Come ad esempio la storia della nascita di Tersite Rossi e del suo pseudonimo, che avevamo raccontato a voce centinaia di volte, ma non avevamo ancora avuto occasione di mettere nero su bianco. “Niente storie”, però, è una sezione che ospita soprattutto le storie raccontate da altri: vi segnaliamo i film e i libri che ci sono piaciuti, e in poche righe diciamo ai lettori perché, secondo noi, vale la pena che li guardino o li leggano anche loro. Selezioniamo senza paletti di contenuto, né di genere, né di altro tipo. Solo quello che ci piace, tutto qui.

Probabilmente per deformazione professionale, ho un debole per il pezzo incentrato sulla pubblicazione della versione originale di “Principianti”, la raccolta di racconti di Carver, depurata in questa nuova edizione (Einaudi 2014) dagli interventi di Lish.

Siamo rimasti sconvolti quando abbiamo compreso, leggendo la meritoria edizione di Einaudi, l’entità del taglio cui la mannaia di Gordon Lish aveva sottoposto i racconti di Carver, a nostro avviso decisamente migliori, più veri e più vivi, nella versione precedente l’intervento dell’editor. Già solo per questo lavoro di recupero, quel libro merita di essere letto. E sia chiaro che non abbiamo assolutamente nulla contro gli editor, anzi: fanno un mestiere importante, che, quando viene svolto correttamente, migliora sempre il testo di partenza. Ma Lish faceva altro, e aveva a che fare piuttosto con i macelli. Ecco, nel dispaccio c’è spazio anche per riflessioni come queste. Fuori binario, appunto. Forse deliri. Ma chi si è iscritto era avvisato.

Domanda di rito: quali sono i progetti per il futuro di Tersite? Quale spazio e quale ruolo avrà in questo futuro il dispaccio?   

Il dispaccio avrà l’importante compito di tenerci in contatto costante col nostro pubblico. Non è poco. Anche perché la differenza tra lo strumento messo a disposizione da Substack e i social è abissale. Gli scrittori che usano Substack sanno che chi legge lo farà dalla propria casella di posta, e per averlo scelto espressamente, quindi con un livello di attenzione molto superiore a quello che si ha generalmente quando si scorrono confusamente le bacheche dei social. Tutto su Substack – dalla struttura minimale alla grafica pulita – è fatto affinché i contenuti siano letti davvero, e non semplicemente scorsi. Per questo ci ha convinti. Poi, chiaramente, ci vuole anche la carta, che resta il supporto prediletto da scrittori demodé come noi. Quindi non resteremo confinati nello spazio digitale e usciremo di nuovo allo scoperto, nel mondo reale, quello delle presentazioni in libreria, con delle facce in carne e ossa davanti. Fra romanzi e raccolte di racconti, bollono in pentola ben quattro lavori in bozza, ciascuno molto diverso dagli altri. Un paio hanno già la strada segnata, e presto la imboccheranno. Gli altri devono ancora trovarla. Ci saranno novità anche nell’assetto, e le copertine potrebbero recare nomi diversi dal nostro pseudonimo. Ci piacciono le cose nuove, oltre che piccole e ben fatte. Chi s’iscrive al dispaccio resterà aggiornato.

(Copyright immagine in evidenza: foto di Marco Parisi)

* Tersite Rossi è un collettivo di scrittura, autore del romanzo d’inchiesta sulla trattativa tra Stato e Mafia “È già sera tutto è finito” (Pendragon 2010), del noir distopico Sinistri (Edizioni E/O 2012, nella Collezione SabotAge curata da Massimo Carlotto), del thriller economico-antropologico “I Signori della Cenere” (Pendragon 2016) e di “Gleba” (Pendragon 2019), romanzo d’inchiesta sul lavoro sfruttato. Suoi racconti sono apparsi sulle pagine di svariate testate, raccolte e antologie.

Per leggere “Il dispaccio di Tersite” e iscriversi (gratuitamente) cliccate su: tersiterossi.substack.com.

Intervista a cura di Annachiara Biancardino

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